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Alessandro Bottero

Sandman, o “ci serve un avversario!”

Aggiornamento: 15 set 2022

Seconda parte delle riflessioni sulla serie TV Sandman, disponibile su Netflix. La prima parte la trovate QUI (https://www.plusnews.it/post/sandman-in-tv-evoluzione-tradimento-elseworld). Cosa è cambiato tra la prima e la seconda parte? È passata una settimana, e nell’infosfera social una settimana equivale a una generazione. Ciò di cui si dibatteva in modo feroce una settimana fa ora è dimenticato, superato, sopito da altro. Sono i tempi social, soprattutto dopo che l’evento è avvenuto. Ora l’attenzione è su She Hulk, inizia a concentrarsi su House of Dragons, e ci si sta preparando per scatenarsi all’arrivo della serie ispirata al mondo di Tolkien.

Ma sperando che pur in questo frenetico gioco a rincorrere l’immediato almeno due lettori interessati a ragionare resistano, ecco che torniamo su qualcosa di vecchio, continuando a riflettere sui perché e i percome di scelte apparentemente (e forse anche sostanzialmente) discutibili.

Il Corinzio

Uno dei personaggi più in luce in questa stagione di Sandman è il Corinzio, e questa è una divergenza sostanziale rispetto alla serie a fumetti. Nel fumetto il Corinzio appare a partire dal numero 10, all’interno della saga Casa di Bambole, incentrata su Rose Walker e il Vortice dei Sognatori, che si sviluppa nei numeri 9-16 della serie, corrispondenti al secondo volume della collezione che raccoglie la serie. Nel fumetto chi è il Corinzio? È un incubo. Per Gaiman Sogno (o Dreaml o Morfeo, o L’Oniromante come lo vogliate definire) è il signore di TUTTO il mondo del sogno, ed è il creatore degli sogni e degli incubi. Gli incubi hanno un ruolo specifico nell’ecologia del mondo dei Sogni, e quindi nella natura umana di cui il mondo dei sogni fa parte (Sogno, come tutti gli alti Eterni è al servizio dell’Uomo, e non il contrario, la prima legge dell’esistenza degli Endless ricordata da Morte a Sogno in Sandman fumetto n.8 e in Sandman serie TV sesto episodio). In base a cosa afferma Sogno gli incubi hanno un ruolo preciso nel mondo onirico, ossia porre gli esseri che sognano (tutti gli esseri viventi nell’universo sognano, non solo gli umani, quindi è presumibile che Sogno abbia creato incubi ad hoc anche per altre razze non umane) davanti al lato buio o se vogliamo “oscuro” che fa parte della loro essenza. L’incubo, nelle intenzioni pedagogiche di Sandman, serve a ricordare all’Uomo (in questo caso) che non è perfetto, e dentro di sé ha un lato oscuro con cui fare i conti, con cui confrontarsi, e da gestire. E siccome sogni ed incubi appartengono al mondo onirico, il volere di Sandman è che non interagiscano in modo diretto con gli esseri umani. Le loro azioni sono (erano) circoscritte al mondo onirico.

Poi Sandman viene imprigionato, e la sua presa sul dominio onirico si attenua. Le sue norme perdono forza, e sogni ed incubi tracimano nel mondo reale. Nel fumetto questo elemento entra in gioco dopo aver risolto il primo tassello, ossia la ricostituzione del potere del personaggio. La prima storyline serve a ricostruire Sandman e poi, solo dopo aver riottenuto il pieno potere, Sandman inizia a rimettere in riga i fuggitivi. Nella serie TV invece avviene una mescolanza. Perché?

Perché per le leggi rigidissime della scrittura per intrattenimento al protagonista serve un antagonista. L’antica legge di Disney è un dogma assoluto: “Un eroe è interessante solo tanto quanto lo è il suo antagonista”. Niente antagonista = errore strutturale di costruzione narrativa. Ergo necessità di costruire una narrazione che attiri e catturi gli spettatori= necessità di un antagonista chiaro e definito.


Nella prima trama di Sandman, quella che si sviluppa nei numeri 01-08 del fumetto non esiste un antagonista, ma molteplici antagonisti: Roderick Burgess che lo imprigiona: Alexander Burgess, il figlio che non lo libera ma continua a tenerlo prigionerò: John Constantine, che prima perde il suo sacchetto poi cerca di mercanteggiare per il suo ritrovamento (anche se in un certo senso Constantine unisce in sé le figure dell’antagonista e del compagno dell’Eroe); Corozon, Lucifero e in generale l’Inferno; e infine il Dr. Destiny. La struttura della narrazione non è quello dello scontro tra Bene e Male (Eroe e antagonista), quanto più quello della Cerca. L’obiettivo di Sandman non è quello di sconfiggere X, ma di recuperare quello che lo farà tornare se stesso. È la Cerca di se stesso. A livello dell’intrattenimento visuale del XXI secolo una serie TV incentrata sulla Cerca di se stesso, senza un antagonista fisso che si scontri con l’Eroe per tutta la durata della stagione televisiva e con una risoluzione dello scontro nel finale, sarebbe bocciata da qualsiasi emittente, perché non si conformerebbe al format ormai classico: Eroe – antagonista – trama estesa per la stagione che vede i due in contrasto – risoluzione temporanea o definitiva dello scontro nel funale di stagione. Pensateci. Le serie TV che puntano al grande pubblico, all’intrattenimento popolare, hanno questa struttura, sviluppata in 8, 10, 13 puntate. Se e quando i grandi network USA CBS o NBC sviluppano serie in 22 puntate ogni stagione prevede una o due storyline estese con antagonisti e risoluzione dei confluiti, quasi sempre a metà serie, e alla fine (in questo caso a volte con un cliffhanger per far tornare gli spettatori).

Mi adeguo (e mi spezzo)

Al Sandman del fumetto mancava un antagonista per la prima trama, e quindi modificando la struttura si adattato il prodotto alla TV, scegliendo un personaggio ed elevandolo al ruolo di antagonista principale. Chi? Il Corinzio. Ecco quindi che l’apparizione del personaggio viene retrodatata, e il Corinzio diventa da subito l’avversario. Intendiamoci, come scelta è legittima. Ha un suo senso all’interno dei parametri dei format dominanti per l’intrattenimento di massa, ma il punto è: fino a che punto è giusto adattare un concept originale per adeguarsi ai diktat dell’industria dell’intrattenimento. O per essere più crudi, fino a che punto devi svendere la tua idea, perché venda il più possibile? Se notate si è usato il verbo adeguare e non adattare, perché sono due cose diverse. Un qualcosa (persona e/o concetti) si adatta all’ambiente circostante per inserirsi, prosperare, e divenire parte del contesto che lo circonda. L’adattamento è di per sé positivo, perché non si ferma alla superfice, ma ri-crea la persona o il concetto, rendendolo nuovo, rinnovandolo. L’adattamento permette l’evoluzione, in quanto gli organismi (viventi o culturali) più adatti all’ambiente sopravvivono e crescono in forme nuove. L’adeguamento è superficiale. È un modellare in modo camaleontico, ossia solo cosmetico e non sostanziale, la superfice, i comportamenti, le idee espresse, sulle regole dell’ambiente, non sull’ambiente stesso. “Non capisco, ma mi adeguo”. Non “non capisco, ma mi adatto”. L’adeguamento è un atto fatto per non avere problemi, e in un certo senso fly under the radar, passare inosservati, o evitare la contraerea. Mi adeguo per evitare polemiche. Mi adeguo per poter essere ritenuto accettabile da chi comanda. Mi adeguo, o adeguo il mio prodotto, così chi detiene il potere economico e mi può finanziare darà i suoi soldi a me, e non ad altri che si adeguano meno o che non si adeguano per niente. Il mondo dell’intrattenimento di Hollywood ormai è tutta una corsa all’adeguamento. Certo, è interessante vedere come non esista un unico set di norme a cui doversi adeguare. Esiste un insieme di norme dominanti dal 2020 nel mondo produttivo dell’intrattenimento Hollywoodiano/occidentale (e ci torneremo dopo), e ne esiste un altro nel mondo produttivo legato alla finanza proveniente dalla Cina (non parlo della Russia perché a livello di finanziamenti la Russia nelle produzioni cinema e TV a livello mondiale non conta nulla). Sarebbe infatti interessante, come si indaga e si individua l’adeguamento ai parametri inclusivi dell’Academy, indagare e individuare l’adeguamento ai parametri necessari per accedere ai finanziamenti dai fondi di investimento gestiti dalla Cina, e allora si noterebbe la sparizione di qualsiasi riferimento al Tibet dai blockbuster da qualche anno a questa parte, o l’ambientazione a Hong Kong o Shangai di alcuni film action (ad esempio Skyscraper con The Rock del 2018), con le forze di polizia cinesi dalla parte dei buoni che collaborano con l’eroe americano. Ma chiudendo questo inciso sulla differenza tra adattamento e adeguamento, torniamo al Corinzio.

l Corinzio, o “Non voglio essere definito dal mio creatore! Voglio essere libero di decidere chi o cosa essere!"”

Il Corinzio è un incubo, come detto, creato da Morfeo per porre l’umanità di fronte alle sue paure. Approfittando della latenza del suo creatore e padrone, il Corinzio, come altri incubi e sogni, evade nel mondo reale e qui sperimenta la libertà di fare qualsiasi cosa voglia. E lui vuole uccidere. O per essere più precisi, vuole fare ciò che vuole. Se vuole uccidere, uccide, se non vuole uccidere non uccide, ma in ogni caso non vuole più dover rispondere a qualcuno. È questa la molla che fa scattare l’opposizione al ritronco Morfeo, e lo tramuta in antagonista principale. Da un lato il ritorno all’ordine, dall’altro la rivendicazione della libertà assoluta di essere chi o cosa si decida di essere. Paradossalmente il Corinzio è molto più in linea con una visione della società dove il singolo decide chi essere. Sandman invece è l’autorità che decide cosa debba essere il Corinzio, o un sogno, o un incubo. Sandman è il creatore che decide della natura delle cose create, e queste non possono decidere di non essere ciò per cui sono state create. Il Corinzio è cattivo ai nostri occhi solo perché uccide, ma se invece dicesse solo “Te mi hai creato decidendo che dovevo essere così, e io voglio liberarmi dal tuo controllo, perché io e solo io ho il diritto di decidere cosa essere”, perché dargli torto, quando sono le stesse precise parole e idee ritenute giuste, apprezzabili e sacrosante dalle stesse persone che guardano Sandman e tifano per Sogno? A rigor di logica il vero eroe che tiene alta la fiaccola dell’individuo che decide lui cosa essere, rifiutando ruoli decisi per lui da altri, in questo caso addirittura colui che lo ha effettivamente creato, è il Corinzio, non Sogno. Strane contraddizioni, vero? Prima di passare ad altro ringraziamo chi ha fatto notare, rispetto a quanto detto nel primo articolo, che anche nel fumetto il Corinzio uccide un prostituto maschio. È vero, ma nella serie TV l’aspetto visuale della scena è molto più studiato e insistito per calcare la mano sull’omosessualità della vittima del Corinzio. Tutto molto blatant e sbattuto in faccia a chi vede, senza quella sottigliezza che fa lo stile.

Dove è finito il Dr. Destiny?

All’epoca della prima pubblicazione del fumetto ci fu chi ritenne la sequenza in cui Sandman recupera il rubino dal Dr. Destiny una delle più goffe e meno ispirate, proprio perché metteva in scena un avversario di serie Z della originaria Justice League of America, per legare Sandman all’universo supereroistico DC Comics. Che bisogno c’era di mescolare la poesia di Sandman con personaggi che “indossano le mutande sopra i pantaloni” per citare un sedicente critico italiano? I super eroi sono cose per bambini, o nerd dalla scarsa igiene personale. I fumetti Vertigo invece erano per adulti, persone serie, rispettabili, che non leggevano fumetti. Leggevano Vertigo. Un po’ lo stesso snobismo radical chic di chi dice “Non leggo fumetti. Leggo graphic novel”. Non spetta a noi rovinare il piacere ai critici. Se si sentono rassicurati nella loro autostima affermando pubblicamente che non leggono fumetti ma graphic novel sono liberi di farlo. Rimane il fatto che leggono fumetti. E la stessa chiusura mentale impediva ai critici di capire l’importanza cruciale del Dr.Destiny nella costruzione del personaggio e del mondo di Sandman. Legare Sandman al mondo dei fumetti e dei personaggi DC Comics, dei super eroi, è stato: A una operazione voluta e pensata con molta cura da parte di Gaiman, che così facendo ha arricchito il personaggio di uno spessore trasversale; B ha definito l’essenza del personaggio come elemento del multiverso narrativo DC Comics, dicendo una volta per tutte che Sandman non è un elemento del mito o dell’inconscio collettivo terrestre o umano, ma che è esistito – ed esiste - nelle culture di ogni razza che abiti il multiverso DC Comics. Se il membro marziano della Justice League lo riconosce è perché Sogno è un concetto/essere/elemento presente in ognicultura, non solo sulla Terra, e questo è estremamente interessante. È vero che successivamente Gaiman non esplorerà questo possibile percorso narrativo, ma quando in The Wake (Sandman 71-72-73) esseri da ogni angolo del creato si radunano nel mondo del sogno per rendere omaggio a Sogno, ucciso dalle Furie, Gaiman mostra anche Batman e Superman, riconfermando e ribadendo il legame tra Sandman e Super eroi, legame oltretutto reso indissolubile dalla presenza di Lyta Hall, personaggio creato da Roy Thomas su Infinity Inc, serie super euristica dei primi anni ’80, che sarà la madre del nuovo Sandman.

Ora come detto nel primo articolo Netflix non aveva i diritti per utilizzare i super eroi DC Comics, e quindi nemmeno i loro avversari. È stato necessario togliere di scena il Dr. Destiny, i riferimenti alla Justice League, ai marziani che conoscono Sandman, eliminando elementi sostanziali del personaggio. È vero. Rimane il nome (John Dee), ma a parte ciò? Ed è anche vero che a livello di logica formale o di meri snodi narrativi la nuova versione conserva la linearità di esecuzione, ma per usare un paragone musicale se anche la linea melodica è conservata uguale, l’arrangiamento che la rende canzone unica è totalmente cambiato. Era impossibile fare altrimenti? È questo il miglior arrangiamento possibile date le circostanze? Tra quanto si è perso e cosa si è ottenuto il saldo è in attivo, o in passivo. Anche qui alcune sequenze della serie ricalcano pedissequamente le vignette del fumetto, come quando dopo la distruzione del rubino John Dee si ritrova sul palmo della mano di Sandman. Ma basta questo?

Umanizzare il Dis-Umano

La riflessione sulla serie TV ci porta ad un ulteriore elemento di netta divergenza tra serie e fumetto, ed anche in questo caso il nocciolo del problema è nelle leggi inflessibili della produzione seriale di intrattenimento visivo. Una di queste leggi, una tra le più basilari, quasi un dogma di fede, è “Lo spettatore deve entrare in sintonia, o pensare di poterlo fare, con il protagonista”. Questo porta al corollario “Il protagonista perfetto è quello con cui lo spettatore può entrare in empatia”. Gli eroi tutti di un pezzo, quelli sicuri di sé, quelli che sanno cosa fanno e perché lo fanno, e non si abbandona ai sentimenti o si commuovono sono sbagliati. E lo sono perché non permettono al pubblico di tematizzare con loro. Ora cosa significa questo? Che un eroe/protagonista/personaggio principale distaccato è - per gli standard dell’intrattenimento popolare visivo (cinema e TV) -sbagliato. Il protagonista non può essere, non deve essere, distaccato. Deve com-patire con gli eventi e i comprimari, perché solo così lo spettatore rimarrà colpito, e lo sentirà vicino. Ecco, questo con Sandman, il vero Sandman è impossibile. Se esiste un personaggio nel mondo del fumetto che è distaccato da tutto ciò che lo circonda, che osserva l’universo attorno a lui in modo algido, distante, diciamo pure con un’aria di superiorità sicura di sé per quanto non espressa in modo esplicito, questo è Sandman. È vero che nel corso di 75 numeri della serie Sandman mostra sprazzi di umanità come quando dice all’uomo che non vuole morire “sono un amico”, nell’numero 13 della serie a fumetti dopo aver rifiutato con sdegno un secolo prima l’idea che lui possa essere amico di una creatura, ma la cifra caratteriale e comportamentale di Sandman è quella di un essere che osserva gli altri, segue un suo piano, e se interviene lo fa seguendo regole ben precise che non sempre prevedono il cercare la salvezza o il benessere degli altri coinvolti. Sandman mostra tratti episodici di umanità ed empatia, ma lo fa nel corso della serie in modo non continuativo, e sempre motivato dalle circostanze. Sandman, il vero Sandman, non si preoccupava in primo luogo dei mortali. La sua prima preoccupazione è il funzionamento ordinato del suo reame, da cui come possibile conseguenza deriva il benessere dell’umanità. Sandman non è un essere che abbia un’umanità. Non è nemmeno anti-umano. Semplicemente non è umano, e non lo interessa diventarle. Ed in questo distacco si gioca il suo rapporto con tutti gli altri comprimari. La serie TV invece, impossibilitata a presentare al pubblico un protagonista del genere, lo ha dovuto umanizzare, tramutando il distacco in sensibilità ferita. Quando Sandman nella serie TV fa la grazia a Johanna Constantine di liberarla dall’incubo, lo fa perché toccato dalla sofferenza umana. E questo è sbagliato. Al vero Sandman non interessa che John Constantine soffra di incubi. Lasciato a se stesso, dopo aver recuperato il suo sacchetto di sabbia sarebbe pronto ad andarsene. È Constantine che lo supplica, e solo a quel punto Sandman si rapporta con la sofferenza altrui, ma in modo distaccato. Mi hai aiutato, per cui ti concederò un favore. Nulla di più. Questa non-umanità del personaggio e il suo sentirsi a disagio nel doversi rapportare con un’umanità che invece lo assale con passioni, sentimenti, emozioni, è un elemento cardine della serie. E permane solo se permane la dis-umanità di Sandman. Umanizzalo e non è più lui. Diventa qualcos’altro che condivide lo stesso nome, ma poco più.


Le nuove regole del Meraviglioso Mondo Nuovo

Chiudiamo queste riflessioni sulla serie Sandman con un passo di lato, che allarga il discorso in senso più ampio e generale rispetto al mondo delle produzioni di intrattenimento visivo (cinema, TV, o streaming sul web). Spesso abbiamo detto che esistono nuove regole che spiegano il perché da quasi tre anni a questa parte hanno radicalmente cambiato il modo di pensare, progettare, e realizzare prodotti di intrattenimento mirati al grande pubblico. Se ne è parlato anche nel primo di questi due articoli. Sono le regole per cui dal 2020 in poi i prodotti realizzati dalle major con budget elevati, e mirati a rientrare di questi budget con presenze massicce nei cinema, nelle TV o sulle varie piattaforme online, sono confezionati con un manuale Cencelli inteso ufficialmente a sanare i torti che l’industriai dell’intrattenimento visivo ha commesso in passato verso le minoranze (intento ovviamente lodevole, chi non vorrebbe sanare dei torti?), ma in realtà manifesto del nuovo bigottismo sorridente e profondamente razzista (nel senso più ampio del termine) che si diffonde. Se è ormai un dato storico che negli anni ’50 del XX secolo la CIA finanziasse la realizzazione di prodotti che promuovessero nel mondo l’American Way of Life, perché tramite l’intrattenimento passano precisi valori e ideologie e si sedimentano molto più facilmente nella mentalità comune di ponderosi saggi di filosofia o politica, è altresì un dato di fatto (se si studiano i prodotti di intrattenimento diretti al pubblico mainstream) che tramite prodotti ufficialmente di intrattenimento vengono fatti passare valori e ideologie ben precise. Non è ancora un dato storico, perché siamo immersi in questo processo e quindi non ne siamo distaccati e non siamo ancora in grado di esaminarlo a mente fredda, ma è un dato di vita contemporanea. Poi lo si può sostenere perché lo si ritiene giusto o lo si può contestare perché lo si ritiene dannoso, ma è un dato. Negarlo è scorretto. Se però ci limitassimo a queste riflessioni sarebbero ancora riflessioni, opinioni, ipotesi, supposizioni. Servono i dati. Le fonti. Ecco quindi che ricollegandoci al precedente articolo abbiamo cercato di individuare quando tutto ciò sia partito. Era il 1 gennaio 2020 quando su deadline.com appare un articolo intitolato Film & TV Diversity: What Changed In 2019 And What’s Next In 2020(https://deadline.com/2020/01/hollywood-diversity-2009-strides-film-tv-representation-inclusion-1202817299/) in cui si fa una disamina minuziosa delle produzioni di Hollywood nel 2019, valutandole più o meno carenti nel loro sostenere e promuovere la diversità e l’inclusivisi, e ipotizzando cosa poteva cambiare nel 2020 per contrastare la “Hollywood whiteness”, rea di non rappresentare nel modo più paritario e corretto la diversità etnica e di genere nei premi assegnati e nei contenuti delle produzioni. È il primo passo. Nove mesi dopo l’Academy, l’ente che assegna gli Oscar, diffonde delle nuove regole che impongono quattro standard mirati a promuovere una maggiore inclusivisi nelle pellicole. Solo film che rispondono ad almeno due dei quattro standard imposti dall’Academy potranno concorrere nella categoria Best Film. Il 9 settembre sul sito vox.com esce un articolo che illustra nel dettaglio le nuove regole (https://www.vox.com/culture/2020/9/9/21429083/oscars-best-picture-rules-diversity-inclusion).


Per sintetizzare si può dire che le regole riguardano la rappresentanza della diversità nei contenuti proiettati, nel cast, nelle troupe coinvolte nella realizzazione delle pellicole, nelle campagne di produzione, nel marketing e nella distribuzione. Tra i nuovi standard richiesti c’è quello che prevede l’appartenenza di almeno uno degli attori protagonisti a minoranze etniche. In alternativa o in aggiunta almeno il 30% del cast dovrà essere composto da due tra le diverse categorie: donne, afroamericani, ispanici, appartenenti alla comunità Lgbtq, disabili. Queste regole non sono inventate per screditare film o serie TV che non piacciono, ma sono la base su cui dal 2020 vengono pensate le produzioni di intrattenimento visivi, per essere poi proposte ai possibili finanziatori che devono dare i soldi necessari alla realizzazione dei prodotti. E ovviamente chi finanzia qualcosa lo fa non per amore dell’arte o mecenatismo disinteressato, ma perché vuole rientrare die costi e guadagnare, quindi ha il desiderio che il prodotto che finanzia possa essere distribuito nel maggior numero possibile di luoghi e concorra (e sperabilmente vinca) più premi possibile per monetizzare la cosa. Le regole in teoria diventeranno esecutive con le candidature per gli Oscar del 2024, e quindi relativamente alle pellicole in uscita nel 203, ma è ovvio che qualsiasi produzione ad alto budget degli studi più grandi in produzione nel momento in cui queste regole sono state annunciate, sia stata riesaminata e adattata per conformarsi a queste nuove regole non ancora in vigore per legge ma in vigore de facto. Cinema e serie TV allo stesso modo. Quindi Gaiman, quando ha adattato il fumetto Sandman per renderlo filmabile, lo ha fatto avendo davanti queste regole, non solo ed esclusivamente la sua libertà creativa di scegliere in modo totalmente autonomo cosa fare o non fare. Può piacere o meno, ma è un dato. Negarlo sarebbe sciocco.


This is the end, beautiful friend. This is the end, my only friend

E allora? Dopo tutto queste parole cosa si può dire? Alla resa dei conti il punto è solo uno: volete vedere la serie? Fatelo. Non volete vederla? Non la vedete. Tutto qui. Se però la domanda è se la serie TV sia un prodotto che rispetti il materiale originario, la risposta è no. Mantiene lo scheletro essenziale del fumetto, questo è vero, ma molto (moltissimo) di quel che lo rendeva ciò che era manca o è stato alterato. È un Sandman Elseworld, volendo essere benevoli. Un’altra versione. Se volete l’originale, con tutta la ricchezza e la profondità leggete il fumetto. Non vi serve altro. Se accanto a questo avete tempo e voglia di seguire una versione alternativa, sedetevi tranquilli e gustatevi le dieci puntate. Alla fine come dicevano gli antichi Omnia Munda Mundis. Tutto è buono, per i puri di cuore. E se si guarda qualcosa per il gusto di passare il tempo, senza voler ad ogni costo scatenare crociate o guerre sante, che male c’è?


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