È visionario, iconoclastico, imperfetto, magniloquente, surreale, suggestivo, sentimentale, splendido, pretenzioso. Ma soprattutto, è divisivo.
Addentrarsi nella trama non è pleonastico, è inutile. La trama è arcinota, anche troppo, segno dei tempi, il cinema dei social e delle piattaforme è più parlato che visto, ma questa è un’altra storia o meglio, non è la sua perché l’ultima creatura di Paolo Sorrentino veleggia inesorabile al box office e punta dritto al record del 2024 e se non bastasse, Parthenope ci ha svelato il talento, la bellezza e la grazia di Celeste Dalla Porta (nome intrigante: Porta Celeste). Quindi tutto bene?
Non proprio, intanto perché la stampa estera non ha lesinato mazzate e poi perché il pubblico che pure lo premia con incassi da favola, sembra spaccato in due. Molto ha fatto discutere la “profanazione” di San Gennaro, ma è solo poco più azzardata di quella che ha per bersaglio “Sophia”, nella forma di Luisa Ranieri che prima dilaga torrenzialmente investendo d’insulti Napoli e napoletani e poi rimane senza scalpo.
Non bastasse l’aver dato spettacolo e scandalo dissacrando due icone della napoletaneità ma pure del cinema e del Credo, il regista che ama Maradona e i Talking Heads gioca a fare il trasgressivo alludendo all’incesto. Il risultato è una creatura cinematografica barocca traboccante di eccessi, ma al netto dell’estetica, è legittimo fare la morale a un’opera di fantasia che non ha pretese morali?
Parthenope non fa prigionieri: o lo ami o lo odi.
Se è difficile pensare come si possa disprezzare un’opera d’ingegno mirabilmente confezionata, possiamo però frammentare il film nel tentativo di inquadrarne il meglio e il peggio.
Il meglio.
La fotografia. Impeccabile. Assolata ma non didascalica, è un’immersione nel sole e nel mare senza essere una cartolina a uso e consumo del turista. Per caso e non.
I dialoghi. Funzionano. In costante sospensione tra picchi di genio e rovinose cadute.
Le gags. Sorrentino è l’unico regista al mondo in grado di mescolare sacro e profano. Di più. Sorrentino è l’unico in grado di demolire con una sfumatura. Impagabile quella sul collo alto esistenzialista, tratto distintivo del barone universitario impegnato e piacione. Lo scambio tra la “Loren” e l’impresario i n cui volano stracci e capelli, è monumentale.
Le intuizioni. Ce ne sono in quantità, noi ne indichiamo due per tutte. L’automezzo per debellare il colera che improvvisamente si contrappone al corteo funebre. Quel veicolo futuristico, coi suoi idranti a tutto regime che si propagano come tentacoli metallici e il modo di inquadrarlo nella sua monolitica stazza, ci proiettano in pieno surrealismo. Siamo dalle parti de L’Esercito delle 12 scimmie. Improvvisamente non è più un funerale, un affare privato e intimo, è una tragedia sociale, una pandemia da debellare asetticamente. Sulla stessa traccia si pone la presenza dell’Avvocato. Nessuno lo dice mai, ma Agnelli c’è, anzi, incombe. Dall’alto di un elicottero che più che volare, si materializza. Qui è doverosa una digressione: Sorrentino restituisce i potenti d’Italia come nessun altro.
La regia. Impeccabile. E fanno due. Poetico e sospeso. Il cinema di Sorrentino è la certificazione della ricerca della perfezione formale.
Il cast. Impeccabile. E siamo a tre. Un assortimento di primi attori, star internazionali, caratteristi e belle scoperte che pare un defilé.
La forma. Tutto è forma per il nostro. Il cinema è forma. La sostanza è forma. La bellezza è forma. E dunque anche la creatura “di acqua e di sale” è una sospensione del e dal reale, la “forma dell’acqua” secondo il regista. L’ennesimo barocchismo ma con sentimento.
Lei.
Il peggio
La contemplazione dell’anzianità. Chiodo fisso. Ma poi, la ragione per cui una giovane ragazza dovrebbe baciare un’anziana donna e per giunta deturpata e acconsenta a lasciarsi sedurre da un maturo satiro sotto mentite spoglie, è un mistero. Forse lui allude nuovamente alla seduzione dell’avvizzire, al fascino del deterioramento, ma rimane qualcosa di disturbante. Il che è con ogni probabilità, il vero obiettivo.
Le frasi a effetto.
Troppe. Appesantiscono. Dilatano e stancano.
La filosofia.
Tra le suddette cadute rovinose c’è quell’indugiare sul pensiero. Questo è il più autentico tallone d’Achille di un cineasta che altrimenti sarebbe stucchevolmente perfetto. Anche qui, Sorrentino non rinuncia al tentativo di volare oltre. Qui si scopre che l’antropologia “è vedere”, perla che va a braccetto con “Mangio soltanto radici, perché le radici sono importanti”. Ecco, se Paolo Sorrentino ha un difetto, è che non si accontenta di essere stratosferico. Assurge all’ insegnamento, all’impalpabile, all’astrazione e senza porsi limiti, al trascendente.
In mezzo
Messi insieme, i suoi film sono un’antologia per capitoli:
Il jet set, il saper vivere, la ricerca del tempo perduto, il tifo per il Napoli, le belle donne, il gay colto, i bassi fondi e il malaffare, la giovinezza, la vecchiaia, la musica, Maradona. Nel mosaico sorrentiniano, queste tessere tornano con regolarità svizzera, generando un dialogo incessante ma che pone un dubbio: sa andare oltre i suoi stilemi, punti cardinali e ossessioni, o no?
Per concludere
Nell’augurarci che Paolo Sorrentino torni su coordinate sensoriali e narrative come Le Conseguenze dell’Amore, dove l’autorialità trova terreno nel thriller e viceversa, speriamo che San Gennaro non se la sia presa troppo e gli faccia conservare il suo genio. Il cinema, l’arte e il contraddittorio hanno bisogno dei suoi arabeschi, paradossi, provocazioni e sogni a occhi aperti.
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