Dimenticate l’ode manzoniana del mortal sospiro, il “Napoleon” di Ridley Scott è solo un parvenu (vero), senza emozioni (falso) e senza visione (falso), che non sia quella di muovere, come nessun altro, le truppe sul campo di battaglia (vero).
Una ridicola macchietta la cui azione e ambizione politica, che colpì profondamente autori come Manzoni, Foscolo, Stendhal e Tolstoj, è invece orientata esclusivamente a conquistare il monte di Venere di Josephine Beauharnais.
Dal regista di “Blade Runner”, “Il Gladiatore”, “Black Hawk Down” e “Le Crociate” ci attendevamo qualcosa di meglio e di più dell’abilità a girare le sequenze di battaglia che ci vengono mostrate dalla pellicola. Un uomo che nel bene e nel male ha fatto la storia d’Europa ci viene mostrato come un personaggio esangue e senza alcun carisma, amato - poco - da Josephine e stimato solo dai suoi soldati.
Scott procede a smontare il personaggio storico in maniera quasi scientifica, giungendo a fargli tirare colpi di artiglieria sulle Piramidi (falso), così, tanto per… Proprio lui che fu il fondatore del Louvre alimentato dai suoi saccheggi di opere d’arte in ogni parte del continente, il luogo che avrebbe dovuto diventare il museo dei musei, la più grande collezione d’arte e di cultura d’Europa.
Il processo di normalizzazione del mito trova compiutezza nella direzione degli attori. Come già un suo illustre collega, Joaquin Phoenix recita con due espressioni: con la feluca in testa e senza, più frequentemente con. Se fosse per lui la terrebbe anche durante gli amplessi coniglieschi con Josephine, mentre se la tiene ben calcata in testa mentre in pigiama assiste alla notte dell’incendio di Mosca. Anche Vanessa Kirby - ovvero Josephine - il cui libertinaggio soprammisura e pari soltanto alla sua malcelata voglia di rivalsa, dopo essere scampata alla ghigliottina della Rivoluzione che invece ha tagliato la testa al primo marito.
Anche il fulcro del film, l’appassionata relazione tra Napoleone e Josephine, dolorosa per la sopraggiunta infertilità di lei e per i tradimenti di entrambi, viene risolta come fosse il gossip di una coppia raccontato da un tabloid inglese. Neanche fossero Barbie e Ken.
Infine, il “politically correct” che si annida nella sceneggiatura di David Scarpa giunge a farci la morale, riducendo la figura di Napoleone al bilancio delle vittime delle sue campagne di guerra, come se questo fosse l’unico parametro per giudicarlo. Ovviamente secondo i parametri della nostra modernità.
Una parte della critica ha scritto che in Ridley Scott riaffiora l’atavico britannico orrore per l’orco francese. Ma in realtà sono stati proprio gli storici britannici a rivalutare la figura di Napoleone proprio per esaltare la loro superiorità dopo la sconfitta impartita a Waterloo da Wellington qui un malmostoso Rupert Everett.
Un po' come fecero durante e dopo la Seconda guerra mondiale con Rommel, diventato anche per loro “la volpe del deserto”, proprio al fine di celebrare il generale Montgomery e la vittoria di El Alamein.
Il lancio del film è stato accompagnato dalla voce che il regista inglese avrebbe voluto cominciare il film mostrando Napoleone a cavallo soffrire per le sue emorroidi (vero). Peccato non lo abbia fatto, perché sarebbe stata resa immediatamente la cifra della storia, quella dalla quale avremmo capito subito dove si voleva andare a parare. Mentre così è solo una aspettativa grandemente delusa.
Con “Napoleon” si chiude un cerchio. Ridley Scott, infatti, è l’autore dello spot 1984 ispirato a Orwell con il quale la Apple sedusse il mercato degli utilizzatori di pc. Mentre qui la Apple, oggi particolarmente attenta a rispettare i canoni del politicamente corretto fino a diventare essa stessa una sorta di Grande fratello, produce il film. E questo qualche dubbio lo pone.
Diciamolo. Raccontare Napoleone è impresa difficile, se non impossibile. Un uomo così sovradimensionato non riesce entrare in una pellicola, per quanto lunga come questa. Le mezze misure non appartengono a Napoleone, ma a maggior ragione non dovrebbero appartenere a nessun regista che voglia cimentarsi con questo personaggio.
Meglio sarebbe stato scegliere uno dei molteplici aspetti della personalità e della sua vicenda politica, bellica, umana di Napoleone e a mostrarla sullo schermo rendendola credibile, oppure rinunciare all’impresa trasformandola nel più grande film su Napoleone mai realizzato, come accadde a Stanley Kubrick. Nonostante la veneranda età e i molti epici precedenti del suo fare grande cinema, Ridley Scott sembra non averlo compreso.
Se lo perdoniamo è solo perché il suo primo lungometraggio è uno dei migliori film napoleonici di sempre. All’esordio da regista, infatti, Ridley Scott ha firmato “I duellanti” (1977) da un racconto di Joseph Conrad con Harvey Keitel e Keith Carradine. La storia di due ufficiali della Grande Armée di diversa provenienza sociale che non riescono a concludere il loro eterno duello che si snoda durante le campagne napoleoniche.
In quel film c’erano: l’epica del racconto, l’attendibilità della cornice storica, i complessi risvolti psicologici e il confronto tra il mondo dell’aristocrazia e quello borghese. Praticamente tutto ciò che in “Napoleon” è assente e che fa di questo costosissimo prodotto un film maldestro e, tutto sommato, inutile.
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