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Pier Luigi Manieri

Michela Murgia: God save the Queer. Amen

Aggiornamento: 12 nov 2023


Michela Murgia si è spenta in un mite giorno di agosto. Uno degli agosto meno roventi della storia recente. La puntualizzazione sul clima non è casuale, il clima è a tutti gli effetti uno dei pochissimi temi su cui non si sia espressa dal momento in cui il personaggio è subentrato alla scrittrice. Il che è una singolare negligenza, essendo la defunta autrice di Accabadora, un personaggio sempre dalla parte del tema “giusto”. Sempre sul pezzo quando si trattava di gettare benzina sul fuoco. Avremmo voluto concentrare l’intero contenuto di questo saluto, sulla sua produzione letteraria, dilungandoci su stile e fortuna, ma con sommo rincrescimento gettiamo la spugna, non è un’operazione realizzabile perché l’invadenza del personaggio Murgia è talmente molesta dal fagocitare la Murgia autrice.

In questi giorni abbiamo letto molto, moltissimo. Una sequenza sterminata di sostantivi e aggettivi con finalità elogiative: intellettuale, attivista, cattolica, femminista.

L’ANPI, presente ieri al funerale, l’ha definita una partigiana. In che modo possa esserlo stato non è dato sapere ma in fondo non c’è nulla di stupefacente. Nel processo di beatificazione laico-religioso-fai da te, l’organizzazione dei partigiani d’Italia (la guerra civile è terminata quasi ottanta anni fa, però l’istituzione è ancora operativa, e ciò nonostante non si comprenda con quali partigiani) il titolo di “partigiano” non lo nega a nessuno.

Ci è stato anche detto che Michela Murgia fosse contro il potere, ma nessuno sa precisare di che tipo, non si ricorda nulla che non fosse dialetticamente inquadrabile nel recinto “iconoclastico-dem”, che è appunto espressione del pensiero cavalcato da quelle forze mondialiste verso le quali lei non ha mai mosso una sola critica, a dispetto di un’identità sarda superbamente rivendicata.


Ci è stato detto che si è espressa per una società più giusta e aperta ma di fatto ha contribuito a corroborare la contrapposizione tra uomo e donna, nonché a picconare, se non spennacchiare e finanche oltraggiare una religione e i suoi fedeli. Non si ha memoria di alcun contributo intellettuale volto all’analisi dei mutamenti sociali e in cui figuri una parvenza di tesi costruttiva, Michela Murgia è passata con la medesima grazia di un bulldozer, sopra tematiche che dovrebbero essere universalmente riconosciute come fondative della società stessa, quali la relazione tra i due sessi. Non solo, non ha mai remato verso il riconoscimento legittimo delle diversità, come hanno fatto personalità di assoluto profilo come Ferzan Ozpetek, Dario Bellezza, Domenico Dolce, ma ha cavalcato un sensazionalismo conflittuale da prima pagina fine a sé stesso, che le ha procurato il plauso ma come direbbe Battisti, per quale gente? Un sensazionalismo certificato come atto di ribellione culturale, per comodità e pigrizia cerebrale.


Al netto di tutto ciò, che scrittrice è stata, Michela Murgia? Una buona penna. Senza infamia e senza lode, certamente non scarsa, capace di cogliere alcune sfumature della sua terra ma oggettivamente sovrastimata. Decisamente ben portata da quegli stessi poteri che non si capisce quando è come avrebbe contrastato.

La scrittrice sarda è stata celebrata come una rivelazione, è transitata svariate volte per Che tempo che fa, ospite di un Fazio(so) in servizio permanente effettivo, ha goduto dell’adulazione di responsabili di biblioteche che l’hanno esibita come un trofeo, compiacendone l’ego, ma quanto è stata effettivamente all’altezza dell’enorme popolarità che l’ha ammantata? Dunque, diciamo subito che in un’epoca in cui si celebrano i romanzi di Fabio Volo, Saviano (che non si è fatto scappare la ghiotta occasione della bara a spalla a favore di fotografi), è reputato un maitre a penser e Gramellini gode di un diffuso consenso, c’è posto a buon diritto anche per lei. Che poi questo sia sufficiente a farne un totem culturale è tutto da dimostrare, ma a suo agio va riconosciuto che esaurita l’era dei Croce, Moravia, D’Annunzio, Gadda, Landolfi, Marinetti, Montale, Chiara, Palazzeschi, Papini, Flaiano, Pirandello, Prezzolini, Rodari, Tomasi di Lampedusa, per ascendere nell’iperuranio dei numi tutelari, basta poco.


Ciò che invece non ha bisogno di essere dimostrato, è il livello intellettualmente scolastico e stilisticamente inconcepibile con cui ha sentenziato praticamente su qualsiasi argomento volto a scardinare la società “patriarcale. Il supposto patriarcato o meglio, il male derivante dal modello patriarcale è stato un cavallo di battaglia ai limiti dell’ossessione. Tutto per la scrittrice pasionaria era riflesso di una cultura da smantellare. Tanta profusione avrebbe potuto ambire anche a un qualche merito se il suo fosse stato un pionieristico attivismo intellettuale e se lo sforzo avesse prodotto una dialettica che non fosse uniformabile all’estetica da mercati generali di Uomini e donne, o alle sgangherate manifestazioni animate fa un vetero femminismo forcaiolo. Disgraziatamente di tutto ciò non si può non tenere conto e come conseguenza il verdetto non può che essere senza appello. Tanta aggressività formale combinata a un profondo vuoto contenutistico non consente né attenuanti né tantomeno apprezzamenti. In nessun modo la sua battaglia per la schwa ha contribuito a rendere l’Italia più accogliente, ha però contribuito a ingenerare un fanatismo chiassoso ma quantitativamente da numeri decimali, canalizzato in scellerate iniziative come la carriera alias.


Michela Murgia che si prodigò assai per sostenere Mario Adinolfi da cui poi prese le distanze, ci ha lasciato in eredità alcuni romanzi e un numero imprecisato di aforismi, godiamocene alcuni:


” Dio è queer."


“Perché Gesù è caucasico e perché la Madonna è vestita da suora?”


“La Trinità: due uomini e un uccello, simbolo del patriarcato tossico.”


“Perché la Trinità non potrebbero essere tre donne?”


“La famiglia tradizionale è un’invenzione capitalista, borghese e che risale alla metà del secolo scorso “


“Il concetto di patria ha fatto solo danni. Cominciamo a parlare di Matria.”


“... bisognerà pur dire a un certo punto a questa gente che io i bambini li odio. Quando il dottore mi ha detto: sarà contenta alla fine, ho dovuto mordermi le labbra per non dirgli che no, non sarò contenta per niente, perché io i bambini li detesto. Non alcuni bambini, ma proprio tutti. Non esistono bambini buoni o cattivi, sono categorie sciocche: è proprio il fatto che sono bambini a renderli odiosi”.

Seppure fosse possibile sospendere il giudizio sulle altre esternazioni, non si potrebbe non sottolineare come il passaggio sui bambini suoni disumano in bocca a chiunque, ma pronunciato da una persona vicina alla morte e che si professa cattolica sia indiscutibilmente osceno

Una donna così disgustosamente arida, così violentemente iconoclasta non ci mancherà. Al di là dell’umana compassione che si riconosce a chiunque si spenga, non resta nulla da rimpiangere. Non verseremo una lacrima nei confronti di una scrittrice “normale “, sufficientemente brava per non essere mediocre ma distante anni luce da figure autenticamente decisive sia per l’acutezza dei contenuti che per la statura della forma e l’ampiezza e libertà del respiro. Il rimpianto è un sentimento che si concede a una Cavani, intellettuale autenticamente contro. Il rimpianto è qualcosa di simile al senso di vuoto provato quando si è spento Kundera. Un persistente rimpianto ammanta il ricordo di Franco Battiato, emblema del genio visionario applicato alla musica, che con la sua poetica ha influenzato il meglio della musica degli ultimi quarant’anni. Per loro tre una lacrima è versabile perché è grazie anche a loro se il nostro mondo sta ancora insieme. E proprio Franco Battiato è l’ultima ragione per la quale dipendesse da noi, Michela Murgia potrebbe essere dimenticata all’istante: una donna capace di concentrare in una manciata di parole tanto sprezzante, ingiustificato livore nei confronti di un artista e intellettuale sublime non può che essere posseduta da invidie insondabili.

Michela Murgia è morta. Avrebbe potuto spegnersi in una dignitosa discrezione, invece ha preferito essere personaggio fino all’ultimo. Quanto a noi che restiamo, superata la sbornia da commemorazione “God save the queer”, dovremo spendere del tempo per riflettere con onestà intellettuale su questa figura che per rispetto alla sua scomparsa ci limiteremo a definire, controversa. Fastidiosamente, controversa.

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