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Pier Luigi Manieri

Letteratura - Dante Alighieri e Giulio Leoni. Lo intelletto lega

Aggiornamento: 23 mar 2021



Settecentocinquanta anni fa nasceva il Sommo Poeta. Siamo alle porte di un evento che non può definirsi di rilevanza unicamente letteraria, tanto gli siamo debitori. Dante Alighieri ha di fatto inventato la lingua italiana. In anticipo sui tempi ci ha offerto una futuribile visione unitaria del nostro Paese. Ci ha lasciato in eredità un patrimonio tanto sterminato quanto inestimabile di gemme dall’inalterata bellezza che abbracciano l’intero scibile umano. E neppure così, siamo lontanamente vicini a spiegare cosa rappresenti. Architrave della nostra civiltà e figura da romanzo, era solo questione di tempo prima che entrasse nella narrazione come personaggio, e una penna notevole come Giulio Leoni s’accostasse a lui per restituirlo all’immaginario come protagonista di thriller storici. Ne parliamo con l’autore de I delitti dei nove cieli (ed. Nord, 2019).


750 anni ed è sempre sul podio per bellezza, spiritualità, profondità e lucidità di pensiero. Quanti ne devono passare per rendere Dante superato?


La poesia di Dante ha subito nel corso dei secoli periodi di alterno riconoscimento, si può dire che solo dal Romanticismo in poi ha guadagnato quel posto di eccellenza che occupa tuttora nel mondo. Ma per noi italiani è diverso, ha praticamente costruito la nostra lingua e finché continueremo a parlare italiano Dante resterà il nostro padre spirituale.


Il canto della Divina Commedia che prediligi e perché?


Difficile rispondere, tanti sono gli episodi straordinari che compongono il poema. Ma dovendo scegliere, direi il canto di Ulisse, quello in cui è più perfetta quella fusione tra tradizione classica e rilettura medievale di cui Dante è maestro. Questa tensione tra passato e futuro è la cifra massima dello splendore della sua arte, ed è quello che resterà per sempre.


Ho sempre trovato affascinante l’impianto narrativo che comprende il personaggio reale in un contesto di finzione, qual è la genesi della scelta di Dante?


La scelta di Dante nasce dall’incrociarsi di due esigenze: volevo come protagonista un personaggio storico reale, e che fosse al contempo un intellettuale ma anche un uomo d’azione, calato nelle tensioni sociali e politiche del suo tempo ma allo stesso tempo profondo in temi teologici e filosofici. E che fosse italiano. E che amasse le donne, spiritualmente e carnalmente. La scelta di Dante è venuta quasi da sé, poiché era l’uomo ideale per rivestire tutti i diversi ruoli che in un racconto d’azione il protagonista si trova a dover interpretare.


Concordi con la riflessione per cui, la stessa esistenza di Dante Alighieri è talmente romanzesca che in fondo la sua declinazione è quasi fisiologica?


Perfettamente. È colpa della critica accademica, e della scuola, aver circoscritto Dante alla sua sola opera letteraria, dimenticando la sua partecipazione alla battaglia di Campaldino e poi i tentativi di ritornare in armi a Firenze dopo l’esilio, la sua attività diplomatica, perfino la sua quasi certa partecipazione a congiure antipapali. E i suoi amori extraconiugali, i suoi odi viscerali e le sue vendette, insomma la sua vita vera.


Da Alighieri al duca Valentino e Leonardo Da Vinci, nel tuo machiavellano il Principle quale aspetto ti ha impegnato maggiormente, la raccolta delle fonti o l’adattamento di questi pesi massimi?

Cerco sempre di avvalermi di fonti storiche per i miei personaggi, riservandomi però il diritto di attingere a quelle che più incontrano il mio gusto e il mio modo di vedere le cose, e non necessariamente quelle più famose o accreditate. Pere esempio nel disegnare la figura del Valentino mi sono avvalso oltre ovviamente alle note del Machiavelli, soprattutto della visione che del nostro Rinascimento e dei suoi protagonisti aveva Jacob Burckhardt, oggi datata ma che per me resta la più affascinante.


Ne La regola delle ombre metti in scena Pico della Mirandola che tra le pieghe della sua indagine su incarico del Magnifico, ci svela un Leon Battista Alberti,inedito: Che società è stata quella del Rinascimento italiano in cui si muovono i tuoi personaggi?


Ne La Regola delle Ombre ho proprio voluto erigere un piccolo monumento a Leon Battista Alberti, che per me è il vero, grande genio del Rinascimento, anche al di là del pur giustamente celebrato Leonardo. Ho approfittato della narrazione per mettere in luce alcuni aspetti della sua opera che sono ancora in ombra o discussi, come il fatto che sia suo il primo progetto per il nuovo San Pietro, e che dietro di esso si nascondeva un tentativo di ridare vita all’antica Sapienza classica, o che fosse sua la mente dietro la congiura antipapale di Stefano Porcari, o ancora che sia lui lo sconosciuto autore del libro più misterioso del Rinascimento,

l’Hypnerotomachia Poliphili.


Dagli scenari del nostro passato alla prefigurazione del futuro è di scenari traboccanti magia: come sta il tuo alter ego,J.P.Rylan.?Come un Mr. Hyde a volte prende il sopravvento per trascinarti altrove?


Sì, in fondo è come dici tu! Per quanto mi sforzi di seguire un progetto organizzato, giunge a volte il momento in cui improvvisamente scopro l’urgenza di raccontare una storia che sembra imporsi alla fantasia con una forza insuperabile. E allora tutto passa in secondo piano e quella storia comincia a prendere corpo, prima in mente e poi sulla pagina. E finché non è scritta, sono nella mani di Hyde!


Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza”

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