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Vito Tripi

“La scopa spazza emozioni” ossia la solitudine dell’uomo moderno

Uno spettacolo che mostra fragilità, paure, ansie e sensazioni della società attuale

Quando si vuole parlare di teatro è sempre utile riprendere una scena del film Yesterday – Vacanze al mare in cui un giovane regista teatrale affermava che non bisognava usare epiteti come “moderno, d’avanguardia o altro” ma che il teatro si divideva in bello e brutto.

E oggi è proprio di un bel esempio di teatro che vogliamo parlare. Il 27 maggio è andato in scena a Monterotondo, presso il Teatro Ramarini, lo spettacolo La scopa spazza emozioni scritto ed interpretato dagli studenti del Secondo Anno del Corso di Recitazione Under 13 della scuola Lo Spazio Vuoto.

Lo spettacolo si apre con un tizio in vestaglia e occhiali da sole, molto tamarro, che si lamenta col suo servo Edmond poichè il palco del suo teatro è “sporco di troppe emozioni negative”. Il povero inserviente spazza alacremente la scena per compiacere il suo padrone severo e manesco. Poco dopo irrompe sulla scena un giovane che si lamenta di aver perso qualcosa ma non ricordarsi cosa ma di essere ben certo che fosse qualcosa di importantissimo.

Da lì un coro di voci gli fanno presente che se “possiede” alcune “cose” è l’uomo più ricco del mondo. Esse vanno da una persona amata, alla capacità di sentire, dall’essere magro, al non avere paura della morte, dall’avere tempo per sè stesso e molte altre cose che diamo per scontate ma che in realtà sono importantissime.

Proprio queste voci saranno i vari monologhi di questa piece teatrale. Ovviamente non possiamo riportarle tutte sia per non svelare troppo sia perchè sarebbe un lavoro assai lungo, ne citeremo alcune in ordine sparso.

Monologo sul tempo: un ragazza cerca di far fermare alcuni individui che corrono forsennati. Vorrebbe che essi notassero e godessero di quelle piccole cose che la quotidinità ci regala, da un tramonto al sorriso di una vecchina, ma non vogliono farlo. Le gridano addosso la offendono perchè il loro tempo è denaro devono correre per lavoro e faccende varie. Anch’ella, alla fine, sembra cedere a questo flusso e deve cercare un lavori anzi molti lavori. Un’analisi amara su un mondo che va più veloce delle lancette dell’orologio senza lasciare spazio al nostro essere umano. In un certo senso due compianti partenopei doc avevano previsto già tutto ciò: Riccardo Pazzaglia in Separati in Casa e Luciano De Crescenzo nel suo Così parlò Bellavista. Altra nota attuale di questo monologo è la precarietà lavorativa dei giovani che sono costretti a fare mille lavori per sopravvivere.

Monologo del sordo: un sordastro, che ha assistito al suicidio di un giovane tapino la scena prima, è in procinto di impiccarsi anche lui. Racconta le sue tragicomiche disavventure e si accomiata dal pubblico, e dal mondo, dicendo “Io vorrei sentire e voi che ne avete facoltà spesso fate finta di essere sordi”. Una critica al sordismo selettivo di noi uomini. Che spesso non sentiamo i dolori e i sopprusi che avvengono nel mondo o, più semplicemente, restano inascoltate le richieste di aiuto o le sofferenze di chi ci sta più vicino.


Monolgo di John: un ragazzo grasso si guarda allo specchio complimentandosi con il suo io per il suo essere prestante e sul resistere nel mangiare un pacchetto di patatine quanto mai invitante. Ma la verità è un’altra. Dolore, vergogna e solitudine pesano più dei kg in eccesso. Sia ben chiaro, però, non è un monologo contro il tanto strombazzato “bodyshaming” o, peggio ancora, sulla negativissima “body positive” che vorrebbe farci credere che “grasso è bello”. No questo non è un monologo politicamente corretto o buonista. E’ una critica all’edonismo più sfrenato, al bullismo, in ogni sua incarnazione. E’ una lode alla capacità di accettarsi e al contempo comprendere i propri difetti e cercare di migliorarsi ma senza snaturarsi seguendo falsi modelli estetici.

Monologo dell’influencer: non poteva, ovviamente, mancare una figura, anche se nefasta e cancerogena, come quella dell’influencer in uno spettaccolo giovane e attuale come questo. Una giovane social girl si confida con la sua Intelligenza Artificiale del telefono, Siri, alla quale dipinge, tra un autoscatto e l’altro, una vita piena, godereccia, edonista ed egoreferenziale. Basta un attimo, però, per infrangere questo specchio di falsità. E’ necessario che l’iphone cada danneggiando la voce virtuale. E allora dolore, sconforto e disperazione per una persona che ha come unica voce amica quella di un gelido programma. Tutta la vacuità e la solitudine del mondo digitale in poche battute.


Monologo della Peter Pan: una ragazza cerca di attirare le attenzioni dei suoi genitori che la ignorano dandole le spalle. Ella si comporta da bambina giocando con una marionetta che le fa da grillo parlante. Questa figura è il simbolo di molti ai quali la società odierna impone di essere “piccoli” o in certi casi “forever young” deresponsabillzandoli col motto “non è mai troppo tardi”. Anche se in certi casi è proprio la società che non permette ai giovani di crescere e staccare il cordone ombellicale perchè la situazione economica non lo permette e creano o cosiddetti “bamboccioni” di montiana memoria.


Ogni monolgo è scandito dai siparietti tra il Padrone e il povero Edmund, e quelli di un sedicente comico, che vorrebbe farci ridere con barzellette degne del Cucciolone, ma che ci regalerà poi una profonda riflessione sul riso e la felicità. Incastrate tra una perfomance e l’altra ci sono pure le situazioni che chiameremo di Cosmos e Caos in cui un soggetto, educato, umile, a tratti debole, deve relazionarsi con un altro arrogante, cafone e prevaricatore. Ma anche qui nulla è come sembra. Lo stesso Edmund ci regala una lezione sulla natura umana ossia che dataci l’occasione, e una porzione di potere, tutti diventiamo “padroni” e, in un modo o nell’altro, ci facciamo corrompere e tendiamo all’autoritarismo.


La lezione finale che questi giovani e valenti attori vogliono impartirci e che non importa quanto cerchiamo di nasconderle, oscurarle, “pulirle” le emozioni sono parte inscindibili di noi, un caledoscopio di sensazioni che sono la base del nostro essere uomini.

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