Alla fine Daniele De Rossi ha vinto. Repubblica dovrà sborsare 27 mila euro più altri 9 di spese processuali perché l’articolo a firma Carlo Bonini e Marco Mensurati del 30 maggio 2019, intitolato “La rivolta di De Rossi e tre senatori contro Totti”, è stato riconosciuto come falso e diffamatorio dal tribunale. Ma di che articolo stiamo parlando? I romanisti lo ricordano bene. Erano passate appena due settimane da quando, con una conferenza stampa convocata a sorpresa, l’allora capitano giallorosso aveva annunciato l’addio alla Roma. Una conferenza in cui DDR aveva fatto capire, neanche troppo tra le righe, che nella Roma della (pessima) gestione targata Pallotta-Baldini non c’era spazio per un personaggio come lui. Così come non ce n’era stato più per Totti, più volte spinto al pensionamento poi sempre ritardato a suon di colpi da fuoriclasse anche all’alba dei quarant’anni. Ed erano passati appena quattro giorni dall’addio di “Capitano Futuro” sul campo, all’Olimpico contro il Parma battuto per 2-1. I tifosi erano quindi già tristi e anche seriamente incazzati. Ecco perché quell’articolo bomba del 30 maggio provocò tanto subbuglio, bruciori di stomaco e anche profondo schifo. Nel pezzo si partiva da una fantomatica vecchia e-mail di Ed Lippie, ex preparatore atletico giallorosso fortemente voluto da Pallotta, indirizzata proprio al presidente americano e in cui si ipotizzava una fronda dello spogliatoio, guidata dai senatori con a capo De Rossi, contro l’allenatore Eusebio Di Francesco. Ma la ricostruzione di Repubblica non finiva qui. Dalla presunta rivolta la coppia Bonini-Mensurati si era lanciata in una sceneggiatura in stile Suburra in cui De Rossi veniva identificato come il reale responsabile dell’allontanamento di Totti dalla squadra, grazie al suo ruolo di capo banda capace di influenzare l’intero spogliatoio e la società attraverso (letterale dall’articolo) “un grumo di ricatti e trame di spogliatoio che dice molto non solo della Roma e di Roma, ma anche del doppiofondo del calcio professionistico”. Il teorema sembrerebbe questo: De Rossi, viste anche le sue simpatie politiche non certo vicine a quelle della redazione di Repubblica, diventava una sorta di collante tra il calcio giocato e la frangia, ovviamente nera. E chissà, magari anche con contatti con personaggi poco raccomandabili grazie al fatto che in gioventù aveva frequentato il suocero che aveva avuto a che fare – tragicamente – con la mala ostiense.
L’articolo aveva avuto molta eco proprio per il sottinteso, neanche troppo implicito, dietro la figura di uno dei giocatori più amati dalla tifoseria giallorossa. Ma in pochi avevano creduto alla ricostruzione. Quasi tutti avevano provato, come detto, un profondo schifo per quello che sembrava a tutti – e ora si può ufficialmente dire a ragione – un tentativo di diffamazione puro e semplice. Prima di tutto a insospettire i tifosi era stata la tempistica. Come mai un articolo così insudiciante a pochi giorni dall’addio? Era chiaro che De Rossi doveva pagare qualcosa e non poteva essere solo la fede politica, già espressa molti anni prima. Qualcuno ha voluto vedere in Lippie, il mittente della mail, la “talpa” che aveva consegnato l’informazione alla redazione. La mail però voleva semmai gettare cattiva luce sull’allenatore Di Francesco, reo di aver voluto l’allontanamento proprio del duo Lippie-Norman, ritenuto responsabile dei dieci infortuni da crociato rotto che la Roma aveva avuto sotto la loro gestione, ma che era già stato allontanato da tre mesi. Perché dunque ritirarla fuori proprio in quel momento? Qualcun altro ha invece voluto vedere nell’articolo un colpo di coda o addirittura una vendetta da parte di un dirigente giallorosso che proprio a causa dell’addio di De Rossi era stato pesantemente attaccato, se non insultato, dal tifo romanista. Parliamo di Franco Baldini, factotum plenipotenziario del presidente Pallotta, che lo stesso De Rossi aveva indicato, in modo più o meno implicito ma piuttosto evidente, come responsabile della forzata fine del rapporto tra lui e la Roma, così come di quella tra Totti e la società. Pochi giorni dopo era addirittura girato un audio in cui l’allora allenatore Claudio Ranieri confermava la storia, pur senza fare nomi ma riferendosi a lui con il chiaro appellativo di “testa grigia”. In molti hanno pensato che l’attacco a DDR sia quindi arrivato proprio dal dirigente, che con Repubblica e soprattutto con Carlo Bonini ha sempre avuto un buon rapporto. A dimostrarlo il fatto che al suo rientro a Roma nel 2011 abbia concesso proprio al giornale di Scalfari un’intervista esclusiva – in cui tra l’altro veniva presentato, contro ogni evidenza sportiva, come uno dei più grandi dirigenti italiani finalmente tornato in patria – e che in seguito sia stato difeso con toni fin troppo accalorati se non quasi apologetici proprio da Bonini dopo che era stato accusato, in modo a dir vero piuttosto sciocco e banale, da una radio romana. Che Baldini sia stato il “mandante” dell’articolo può sembrare una tesi complottista, eppure a crederlo allora furono in tanti.
Ma al di là della ricerca del responsabile della fuga di notizie fu proprio la ricostruzione a schifare i tifosi. Anche perché in molti leggendo gli autori dell’articolo hanno ricordato i precedenti. Carlo Bonini infatti è una nota firma delle mirabolanti inchieste di Repubblica che cercano di rappresentare, con molta fantasia e ben poca perizia nel trovare riscontri oggettivi, un torbido legame tra estrema destra, mafia, servizi segreti e potenze straniere. Si è passati dai connubi tra CasaPound e gli Spada a Ostia fino ai legami tra la Lega al governo e gli ex terroristi neri e chi più ne ha più ne metta. Non certo una novità in casa Repubblica, basti pensare alla quasi comica rubrica “pietre” curata da Paolo Berizzi, costretto quotidianamente a trovare un pericolo fascista per portare avanti la rubrica e quindi ridottosi a parlare di stabilimenti balneari con bottiglie raffiguranti Mussolini dietro al bancone. E nel calcio? Lorenzo Contucci, il noto avvocato vicino al mondo del tifo calcistico nonché esperto di difesa contro le leggi repressive negli stadi – e per questo inviso a una certa stampa sensazionista e forcaiola – proprio all’indomani dell’uscita dell’articolo ricordò che proprio Carlo Bonini, per dar forza alle sue tesi cospirazioniste, aveva inventato di sana pianta una sua intervista. E che poco prima aveva raccontato un’altra storia falsa su di lui per metterlo in cattiva luce durante il processo che lo vedeva come difensore di un ultras giallorosso, Fabio “il Roscio”. Motivi per il quale era stato querelato dall’avvocato. Ma il ricordo che sicuramente aveva schifato più di tutti i tifosi di ogni fede calcistica fu quello riguardante Gabriele Sandri, il tifoso laziale assassinato da Spaccarotella con uno sparo alla testa nel 2008. Carlo Bonini era stato infatti l’autore della ricostruzione secondo la quale Sandri avrebbe avuto dei “sassi nelle tasche” (letterale), prova inconfutabile del fatto che fosse stato protagonista di un assalto a un pullman di tifosi avversari e che quindi Spaccarotella avesse agito giustamente per riportare l’ordine. Ricostruzione, ovviamente, smentita in pochi giorni. Non stupisce quindi che il tentativo di destabilizzazione dell’ambiente giallorosso e di infangare una bandiera tanto amata non sia andato a buon fine e che anzi abbia di fatto cementato la tifoseria contro l’allora dirigenza e contro un certo giornalismo ben lontano dalla professionalità. Se non altro però l’articolo ha avuto una sua utilità: Repubblica dovrà infatti pagare 27 mila euro a Daniele De Rossi che ha già detto di voler destinare l’intera somma in beneficenza al reparto di oncologia pediatrica del Bambin Gesù. In redazione dovrebbero segnarselo come una data storica: è forse la prima volta che hanno fatto qualcosa di buono.
P.S: al momento in cui scriviamo l’articolo sono passate ventiquattro ore dalla sentenza. Ancora nessuna parola da parte di Repubblica, di Bonini o di Mensurati. E neanche di un altro noto giornalista sportivo romano, Alessandro Austini, che lo stesso 30 maggio 2019 twittò definendo l’articolo “il pezzo più importante scritto sulla Roma” con tanto di complimenti a Bonini e Mensurati perché gli avevano fatto “sperare che il giornalismo esista ancora” e auspicava che qualcuno avrebbe “aperto gli occhi” per rendersi conto di “cosa è diventata Roma”. Chissà se gli occhi li ha finalmente aperti lui.
(Photo fonte social)
Comments