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Ettore Maggi

La Guerra dello Zar

A due settimane dall'inizio dell'invasione, proviamo a fare un bilancio della guerra russo-ucraina.

I russi controllano, oltre a Crimea e Donbass (la prima annessa già nel 2014, la seconda teatro della guerra tra separatisti filo russi e lealisti, conflitto che ha causato 15 mila vittime in 8 anni) parte della zona orientale e la città di Kharkhiv. Mariupol è sotto assedio, la capitale Kiev è stretta in una manovra che al momento lascia libera solo la parte occidentale, Odessa sta per essere attaccata.

I bombardamenti, rispetto ai primi giorni, si sono intensificati. Il numero di vittime civili si stima su 1200 tra morti e feriti ma secondo l'ONU le cifre reali sono sicuramente più alte.

Quanto ai militari, si ignora il numero delle perdite ucraine, mentre quelle russe oscillano tra i 500 dichiarati dal Cremlino, ai 6000 presunti dall'intelligence americana, a numeri ancora più alti dichiarati da Zelensky, che ovviamente non possono essere attendibili.

Molti analisti sostengono che il Blitzkrieg presumibilmente progettato da Putin sia stato un fiasco (ma l'unica guerra lampo che funziona è quella dei Fratelli Marx) perché i russi si aspettavano un tracollo militare di Kiev e la fuga di Zelensky dopo 3 giorni. Ma gli ucraini hanno dimostrato di essere più forti, e soprattutto più uniti, di quello che la propaganda russa dicesse. E questo spiegherebbe l'aumento dei bombardamenti anche su obbiettivi civili, a differenza dei primi giorni.

Altri sostengono che in realtà il piano dello Zar prevedesse un lento strangolamento della nazione nemica, per occuparne stabilmente una mezzaluna che comprenda il nordest, l'oriente, e il Sud. Così la Russia avrebbe la parte più ricca e produttiva del Paese e soprattutto tutta la costa sul Mar Nero, necessaria per la Marina.

A quel punto ordinerà un cessate il fuoco unilaterale e avvierà dei veri negoziati in posizione vantaggiosa, lasciando all'Ucraina, meglio se governata da un altro esecutivo, la parte a ovest del Dniepr e privandola di sbocchi al mare.

Un ritorno alla situazione del 1656, in cui il territorio era spartito, nello stesso modo, tra Russia e Polonia.

La zona conquistata diventerebbe, se non direttamente territorio russo, una o più repubbliche dell'Unione Euroasiatica. Come doveva diventare l'Ucraina di Janukovich, prima della rivolta Euromaidan e delle due tormentate e discusse elezioni. Infatti i germi della guerra e l'ossessione di Putin per la 'cricca di drogati e nazisti' di Kiev nasce proprio da quello. Cioè dal timore dell'ingresso dell'Ucraina nella UE invece che nella Unione Euroasiatica. La Nato è stata una false flag.

D'altronde è impossibile capire quali siano i piani futuri di Putin.

Molti dicono che sia un abile tattico ma un pessimo stratega, oltre a non avere i mezzi per progettare una strategia degna della vocazione imperiale che la Russia ha da sempre.

Lo Zar si accontenterà della vittoria che presumibilmente otterrà, anche se evidentemente a caro prezzo, o alzerà il tiro?

Dopotutto ha già dichiarato che la Bielorussia ha bisogno di uno sbocco al mare (allarmando gli stati baltici che ottant'anni fa furono occupati dall'URSS) e molti temono un collegamento con l'enclave russa di Kaliningrad (ex Koenigsberg, vecchia capitale prussiana).

Nel frattempo la Finlandia, che nel Novecento ha combattuto due guerre con l'URSS e poi ha subito la 'finlandizzazione', ha chiesto l'ingresso nella Nato, scatenando le prevedibili ire dello Zar.

A complicare ulteriormente la questione c'è la Moldavia, che non essendo né nella Nato né nella UE, si sente indifesa, soprattutto per la questione della Transnistria, territorio ufficialmente moldavo in cui c'è una situazione simile al Donbass (la Transnistria è abitata da russi, sì è autoproclamata indipendente, ed è presidiata dagli anni 90 dalle truppe russe). A differenza del Donbass, la situazione è tranquilla anche perché la Moldavia non ha nessuna possibilità militare di contrastare i russi.

Ma può essere utilizzata come pretesto e l'effetto balcanizzazione è dietro l'angolo.

In realtà Putin difficilmente potrà spingersi troppo oltre. Nonostante i russi abbiano il più grande arsenale atomico, nel complesso, pur spendendo per le forze armate oltre il 4% del PIL, bisogna ricordare che il PIL russo è poco più del PIL spagnolo.

E di più non può permettersi. Ha un debito pubblico molto basso, ma un'economia prevalentemente basata sulle esportazioni di gas, carbone e petrolio. Che oltretutto potrebbe essere costretta a vendere soltanto alla Cina. Ma dubitiamo che la Cina voglia legarsi troppo in questo abbraccio che rischia di essere mortale.

Nel frattempo, almeno in parte, gli USA si sfregano le mani. Anche se, dopo le prime incertezze, la reazione dell'Europa si è rivelata più compatta di quello che si poteva pensare.

Lo Zar Vladimir I ha voluto giocare una partita rischiosa. In tutte le città russe si è sviluppata una protesta pacifica e apparentemente spontanea (da verificare), anche perché il Ventennio Putiniano ha impedito ogni forma di una seria opposizione organizzata. Eppure, nonostante le migliaia di persone arrestate, sembrerebbe che molti cittadini continuino a manifestare a dispetto della oscura presenza degli Omon (i famigerati reparti antisommossa russi) che comunque finora hanno un atteggiamento relativamente morbido. Ma se la guerra dovesse durare a lungo e le sanzioni farsi sentire, l'atteggiamento potrebbe cambiare.

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