Il 22 luglio ci ha lasciati John Mayall (1933/2024), uno dei grandi nomi del blues rock UK e mondiale, attivo sulla scena musicale fin dai primi anni ’60.
La carriera di John Mayall, chitarrista, tastierista, cantante, autore, e scopritore di talenti, ha attraversato ben 60 anni di storia della musica popolare. Agli inizi degli anni ’60 il blues, negli USA considerato musica di secondo piano, ormai reliquia di un tempo passato, e al massimo da prendere in considerazione come anticipatore del rock’n’roll, fu riscoperto dagli inglesi. Fu il periodo dell’English Blues, con nomi oggi considerati classici e all’epoca dimenticati dal pubblico mainstream negli Usa, traversavano l’Atlantico e trovavano folle di ragazzi bianchi ai festival che li acclamavano. Sonny Boy Williams è un perfetto esempio.
I futuri membri dei Beatles e dei Rolling Stones erano ragazzi amanti del blues, e soprattutto i secondi nei loro primi dischi proponevano soprattutto cover di brani noti negli USA, ma praticamente ignoti per il pubblico UK. John Mayall all’epoca era un collezionista di vinili (45 e LP) che voleva diffondere il blues che amava. Ecco perché in quella che era la favolosa Swingin’ London proponeva nei locali (pub e cafeterie) cover e brani da lui scritti che seguivano lo schema classico. Un blues ortodosso, senza sperimentazioni.
Mayall non era un virtuoso della chitarra, come Jeff Beck o Jimmy Page, all’epoca tra i turnisti più richiesti e apprezzati tecnicamente, ma era un ottimo bandleader. Sapeva riconoscere il talento, e sapeva mettere assieme i musicisti, dando vita a qualcosa che era più della somma delle singole parti. Quando esce BLUES BREAKERS, nel 1966, è il punto di svolta. Quasi 60 anni dopo rimane uno dei dischi centrali nella storia della musica popolare del XX secolo.
Il gruppo che Mayall mette assieme per incidere il disco è composto da giovani musicisti con la fame del successo e la voglia di suonare blues. I nomi? Eric Clapton (chitarra), John McVie (basso), Hughie Flint (batteria). Eric Clapton qui è giovanissimo, e conquista la scena musicale, con una tecnica incredibile. Nei cinque anni successivi Mayall riuscirà in un’impresa che oggi sembrerebbe assurda: portare il blues in cima alle classifiche musicali UK. I dischi che seguirono BLUES BREAKERS videro l’abbandono di Clapton, che formò i Cream e poi si dedicò alla carriera solista, e la scoperta da parte di Mayall di altri due chitarristi immensi, Peter Green per a HARD ROAD 81967) e Mick Taylor, successivamente coi Rolling Stones, per CRUSADE (1967), BARE WIRES (1968) e BLUES FROM LAUREL CANYON (1968).
A quel punto Mayall avrebbe potuto sfruttare il successo ottenuto, accentuare l’aspetto commerciale, dedicarsi a un blues pop patinato con l’occhio alle classifiche, seguendo le orme del Clapton anni ’70 e ’80. Invece il purista prevale. Scelse la strada della fedeltà alla tradizione, dedicandosi a una carriera forse marginale per le classifiche, ma intensissima dal punto di vista della produzione discografica e live. Fino al 2022, in cui è uscito il suo ultimo disco in studio (THE SUN IS SHINING DOWN), il catalogo di Mayall vede 36 dischi in studio, 34 live, e 24 compilation. Fin quasi alla morte Mayall ha continuato a suonare dal vivo, fedele al principio che il blues è una musica che va vissuta sul palco e sulla pelle. Forse non è stato il chitarrista migliore al mondo, o il cantante.
Ma sicuramente John Mayall ci insegna due cose: che il vero leader è quello che coglie il valore degli altri, e li sa valorizzare; e che la coerenza alla musica alla lunga paga sempre.
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