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Alessandro Bottero

Jacovitti. Unico e irripetibile

Aggiornamento: 9 ago 2023

Il mondo del fumetto italiano dispone di un tesoro unico al mondo, ma è trascurato, dimenticato, snobbato. Volutamente? C’è malafede in queste scelte, o molto più semplicemente la critica attuale e il mondo editoriale di questi anni ormai non sarebbero in grado di riconoscere il genio, nemmeno se glielo mettessimo sotto il naso? Ma di chi stiamo parlando? Semplice. Di lui, Benito Jacovitti.

Probabilmente la seconda ipotesi è la più vera, e un autore come Jacovitti sfugge ai canoni critici di questi deprimenti anni ’20, in cui o sei omologato al pensiero unico, o sei ostracizzato.

Nel 2023 ricorrono i 100 anni dalla nascita di Jacovitti, morto a 74 anni nel 1997. E Jacovitti ci manca. Ma non manca a tutti. Cerchiamo di essere onesti. È dagli ’90 che il mondo del fumetto italiano lo aveva messo da parte. Era troppo diverso da tutto il resto. In un decennio che vedeva l’affermarsi del fumetto “autoriale”, e con pretese di filosofia sociale il clown Jacovitti non aveva più posto. Se il fumetto italiano diventava Dylan Dog (o meglio, imitazione pretenziosa di Dylan dog) e grafic novel più pesanti di un corso di Semiotica del cinema muto russo, la leggerezza, la gioia dello sberleffo, la ferrea logica del nonsense non avevano più posto. Oggi tutti a celebrare Jacovitti, a dire che era un genio, a piangerne la mancanza, ma la realtà è che gli ultimi anni di vita Jacovitti li visse come il grande rimosso. Solo lo Jacovitti Fan Club di Edgardo Colabelli ogni tanto veniva a Lucca Comics, con il suo stand, e cercava di tenere ancora viva la memoria dell’autore. Non uno dei cosiddetti grandi editori a fumetti italiani ha mai pensato di ristampare le opere di Jacovitti con lui ancora in vita.

Il problema qual era? Che Jacovitti in un mondo del fumetto che dopo il 1968 era virato tutto a sinistra, tranne Eureka, non era più gradito al pensiero dominante. Tollerato su Linus (ma se si vanno a leggere con attenzione i numeri di quando Jacovitti fece il suo ingresso su Linus nel 1974, si scopre che Fulvia Serra dovette difendere questa scelta, perché molti lettori trovavano Jacovitti “non in linea” con l’orientamento politico di Linus, quando nel 1977 iniziò a pubblicare il suo Kamasutra - su testi di Marcello Marchesi – per Playman, fu accusato di sessismo, antifemminismo e progressivamente messo da parte. Il problema vero è che Jacovitti era stato democristiano, e aveva fatto fumetti “qualunquisti”. Addirittura, aveva realizzato manifesti politici per le elezioni a favore della DC. Per il mondo del fumetto anni ’70 questo bastava: Jacovitti era un autore di “destra”. Aveva pubblicato sul Vittorioso, settimanale cattolico, e questo peccato originale rimaneva, per quanto cercasse di scrollarsi di dosso l’etichetta di “fumettista dei preti”. Certo, nel 1991 ci fu la mostra curata da Fulvio Abbate presso la galleria la Nuova Pesa di Roma, che fece scrivere a qualcuno che “finalmente la sinistra riabilita Jacovitti”, ma erano omaggi come quelli che si tributano all’anziano nonno, di cui si aspetta la morte per levarselo di torno. In realtà lo riteniamo sorpassato, noioso, infantile, qualunquista, ma non possiamo non applaudirlo. E poi diciamocelo, un premio alla carriera non si nega a nessuno. Ecco quindi che quando la Granata Press di Luigi Bernardi nel 1992 spezzò il silenzio che ormai circondava Jacovitti, con un volume di critica scritto a tre mani da Luca Boschi, Leonardo Gori, e Andrea Sani, (Jacovitti, Bologna, Granata Press, 1992, successivamente riedito in versione ampliata da NPE nel 2011 col nuovo titolo Jacovitti – Sessant’anni di surrealismo a fumetti, e il contributo di Franco Bellacci), il salone di Lucca non poté fare finta di nulla, e conferì a Benito Jacovitti il premio Yellow Kid alla carriera. Ma per il pubblico giovane di quell’epoca Jacovitti faceva parte del passato. I premi alla carriera si danno a chi ha AVUTO una carriera, spesso come contentino, non a chi si pensa sinceramente che sia ancora in grado di stupire e insegnare qualcosa ai nuovi autori. Quando poi nel 1994 il Presidente della Repubblica Scalfaro gli conferì il titolo di Cavaliere al merito della Repubblica Italiana la trasformazione di Jacovitti in pezzo da museo fu definitiva. Oltretutto la beffa fu che probabilmente Scalfaro negli anni in cui Jacovitti disegnava per il Vittorioso (e in seguito lamentò la censura impostagli dalle autorità e dall’editrice Ave) era uno di quelli che esaminava minuziosamente i suoi disegni per individuare ogni possibile “sconcezza” e cassarla con la matita blu.

Nominato Cavaliere della Repubblica, proprio da un esponente di quella cultura che lo aveva tenuto sotto controllo per imbrigliarne la dirompente fisicità del disegno. Probabilmente Jacovitti se ne rese conto, e tra sé e sé ridette dalla cosa. Dopo la morte a pubblicare volumi dedicati a Jacovitti fu la NPE, che creò una collana al suo interno - Benito Jacovitti Archivi - che ha riportato nelle librerie le opere del maestro di Termoli. Tra la Granata e la NPE a dedicarsi a Jacovitti in questi nostri anni fu Stampa Alternativa, con volumi a cura di Gianni Brunoro. E infine abbiamo la collana della Hachette nel 2017, iniziata come integrale di Cocco Bill, e poi diventata una (quasi) integrale di Jacovitti. Sembrerebbe tanto. In realtà no. Granata Press, NPE, Stampa Alternativa, Hachette. Due (Granata e Stampa Alternativa) sono fallite, e i loro libri si trovano solo nel circuito dell’usato. La collana Hachette è stata una tipica collana di collezionabili settimanali da edicola, genere di prodotto che movimenta circa 2.000 lettori, e che era pensata per una vita commerciale settimanale in edicola e non la vita lunga nel mercato delle librerie. Rimane la NPE, ma nemmeno lì Jacovitti, pur visto come autore degno di rispetto e di una buona cura editoriale, è un prodotto di punta. Tutti gli altri grandi editori a fumetti e non italiani nei fatti di Jacovitti se ne fregano, a prescindere di quanto i vari direttori editoriali o editori lo elogino a parole E invece Jacovitti meriterebbe di essere celebrato. Jacovitti stato un genio, e non solo come umorista. No. Jacovitti è stato un autore geniale a 360# come probabilmente nessun altro al mondo.

Esageriamo. Jacovitti è stato un autore di fumetti come nessun’altra nazione ha mai avuto. Non la Francia. Non gli Usa. Non il Giappone. Forse solo Will Eisner e Osamu Tezuka si avvicinano a lui, ma mancano di uno o due elementi presenti invece in Jacovitti. Jacovitti scriveva le sue storie. Le disegnava. Ha creato uno stile in-imitabile. Padroneggiava la lingua in un modo e a un livello a cui solo Pazienza (il Pazienza più ispirato e surreale) è mai più arrivato. Nel corso della sua carriera ha toccato ogni campo del lavoro visivo: fumetto, illustrazione, cartellonistica politica, pubblicità, layout per giochi, diari, storyboard. Giocava col colore, e utilizzava tutti i registri narrativi: giallo, avventura, racconto edificante, parodia, sberleffo, gag monovignetta, strisce, tavole autoconclusive, arrivando al racconto erotico e al noir cinico di Joe Balordo degli ultimi anni. Un tale spettro di lavori a 360.0000# non è riscontrabile in nessun altro autore. Jacovitti ha dato vita a personaggi cult per almeno tre generazioni: Pippo, pertica e Palla (con annessi la Signora Carlomagno, Zagar e Cip l’arcipoliziotto) per quella anni ’50; Cocco Bill per gli anni ’60, e Zorry Kid negli anni ’70. Ma limitarsi a loro vorrebbe dire mettere da parte centinaia di storie e personaggi ognuno unico e indimenticabile: Tom Ficcanaso, Alvaro il corsaro, Mandrago il mago, La famiglia Spaccabue, Joe Balordo e centinaia ancora.


Jacovitti era unico. Ci manca.

PS. La collana Hachette vorrebbe essere un’integrale di Jacovitti, ma in realtà non lo è. Di tutte le storie realizzate da Jacovitti ne manca una. Solo una. Quale? Battista, l’ingenuo Fascista, storia realizzata da Jacovitti nel 1945, dopo la fine della guerra, in cui Battista, che è stato fascista come tutti gli altri attorno a lui, deve fare i conti con il mondo della nuova Italia, con gli stessi problemi e vizi di prima e dove il qualunquismo e l’ipocrisia del dopoguerra sono messi alla berlina da uno scatenato Jacovitti. Nella collana Hachette manca solo questa storia, e quando chiesi al curatore il perché di questa mancanza, visto che ristampe della storia pubblicate nella collana Albi dell’Avventura n.10 col titolo “Battista l’Ingenuo Fascista, Satira reazionaria di Jacovitti” nel 1974 erano facilmente reperibili, non ebbi una risposta convincente, ma tra le righe intuii che la decisione fu presa probabilmente dalla Hachette stessa per timore di possibili polemiche.

Peccato. Ma come dice Manzoni “Certo il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

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