Le dinamiche della creatività non si arrestano mai, e in un mondo sempre più legato da canali di comunicazione rapidi e inarrestabili, il centro della creatività si sposta da un paese all’altro in modo sempre più veloce. Non si tratta tanto della creatività che dà vita a opere letterarie, o forse è meglio dire a “consumo e assimilazione lenta”. Il genere di creatività di cui parliamo è quella a “consumo rapido”, la creatività che alimenta la produzione di opere destinata all’intrattenimento di veloce e largo consumo, più che alla realizzazione di cult, che vivono il presente in piccole nicchie e poi sono riscoperti dopo la morte dei creatori.
Il mass market oggi si è sofisticato, e se prima i B-movie o le sitcom erano sinonimo di intrattenimento a basso budget, quasi un semplice toast a paragone di manicaretti succulenti realizzati da Fellini, Truffaut, John Ford o Kurosawa, oggi anche i B-contents devono essere a livello superiore. Volendo sintetizzare con una battuta: oggi anche la serie TV o il film più mass market e “di genere”, devono elevarsi fino a un livello di raffinatezza tecnica che 40 anni fa era appannaggio solo dei capolavori dei film “d’autore”. Volendo essere più crudi: nel 2023 quasi tutte le serie Tv, anche quelle più trashone e svaccate, tecnicamente danno una pista ai film migliori che vedevamo da ragazzi. Se vuoi spiccare oltre ad essere creativo devi abbacinare, e se non hai idee nuove (o la creatività latita) devi abbacinare ancora di più. Almeno per un po’ gli spettatori non si rendono conto di cosa vedono, e restano a bocca aperta e occhioni spalancati.
Poi però ci sono anche momenti e prodotti autenticamente creativi, ossia dove accanto a una buona tecnica troviamo idee. E qui entra in gioco un discorso che potrebbe sembrare sociologia culturale spiccia: tanto più l’occidente è estenuato, prosciugato, ormai incapace di elaborare contenuti nuovi, e si limita a rimasticare idee e proposte giù viste e sentite (reboot, remake, replay), con il rifacimento di storie classiche cambiando questo o quel particolare, aggiungendo elementi sulla base dei desiderata del pensiero dominante del momento, oppure ribaltando i ruoli con i cattivi che diventano buoni “incompresi” per cancellare il passato e ricreare le storie antiche secondo binari opposti, tanto più accade questo, dicevamo quanto più si guarda ad altre culture per cercare il nuovo. Siamo come gli antichi romani nel pieno della decadenza che bramavano il nuovo e vedevano nei barbari un piacevole diversivo per qualche ora, prima di ricadere nel tedio. Ecco allora il sorgere e l’avvicendarsi di mode. Cinecittà, il cinema francese, Fassbinder, i registi tedeschi, il cinema dell’Est, le telenovelas sudamericane e poi gli sceneggiati turchi (Terra Amara) ma anche la fascinazione per il Giappone, la Cina e ora la Corea del Sud. Il K-pop è il nuovo genere musicale che seduce i giovani. I BTS (il gruppo simbolo del K-Pop, con milioni di seguaci in tutto il mondo) e i Coldplay realizzano un singolo assieme, My Universe – a sky full of stars (2021) e non sono i BTS a unirsi alla corte del gruppo occidentale. No. Sono i Coldplay a chiedere di poter godere del successo dei BTS. L’Occidente che cerca l’Oriente, perché il nuovo pubblico, fatto da miliardi di consumatori cinesi, indiani, giapponesi, indonesiani, coreani, fa gola a tutti.
In questa instancabile rincora alla moda del momento dopo il Giappone, in questi anni è il tempo della Corea, che tra K-Pop & K-Rock, serie TV, cinematografia, moda e predominio negli e-sports (i coreani sono tra i dominatori del campionato mondiale di League of Legends, l’evento di e-sport maggiore a mondo), è diventata un’autentica icona per la cultura pop del XXI secolo. Già c’era stata qualche avvisaglia con la musica e il K-Pop. Psy era stato il primo a svelare al lato opposto dell’Eurasia fin dove era arrivata la capacità gestionale e organizzativa delle factory musicali coreane. Nel frattempo, Sassy Girl, film ispirato/tratto da un manhwa (i fumetti coreani) era girato per i festival, e aveva colpito l’attenzione di chi teneva gli occhi aperti per cogliere segnali di vita dall’estremo oriente. È solo con Squid Game però che il fattore K inizia a dilagare senza freni. Serie TV che ha fatto saltare il banco in più di un mercato nazionale Squid Game ha iniziato a svelare un’estetica e una narrazione tipicamente coreane, diverse da quelle occidentali (ovvio) ma anche da quelle giapponesi, se si sa dove guardare.
Non essendo questa una storia delle serie K-TV, ma un tentativo di suggerire qualcosa di interessante il succo della vicenda sono due titoli: Black Knight e Sweet Home. Entrambe disponibili su Netflix (una stagione di sei episodi la prima, e una stagione di 10 episodi la seconda), ed entrambe tratte da webtoons, ossia fumetti nati e diffusisi sul web prima che su carta. La prima è una serie fantascienza-apocalittica, e la seconda è un neo-horror urbano. In un futuro poco lontano una catastrofe ecologica ha colpito il pianeta. Il 95% della popolazione della Corea è morta, e i superstiti sono suddivisi in tre caste: quelli che vivono entro il rifugio, dove l’aria è respirabile e la vita è come nel passato; chi lavora nel rifugio, ma deve vivere all’esterno; chi vive all’esterno nelle zone di residenza. Nessuno o quasi può sopravvivere all’esterno, solo i Corrieri, chiamati Knight, hanno il permesso di percorrere i deserti con i loro immensi campion, portando ossigeno, cibo e altri beni a chi vive all’esterno. Tra tutti i corrieri il più famoso e rispettato è il Black Knight, e sarà lui svelare i piani di sterminio che vorrebbero eliminare chi è superfluo. Ambientazione innovativa, scenografie di impatto, ma uno sviluppo narrativo troppo lineare. Sweet Home, seconda serie consigliata, non soffre di questo difetto.
I colpi di scena si susseguono. Variazione coraggiosa e innovativa sul tema degli zombie, Sweet Home ci mostra cosa succede in megacondominio di Seul quando le cose in giro si mettono davvero male. Il meglio e il peggio dell’uomo escono allo scoperto, e fino all’ultimo non si può sapere cosa succederà. Serie incredibilmente profonda, che nasconde una ricchezza spirituale davvero rara nelle produzioni televisive di oggi, dovrebbe vedere una seconda stagione entro la fine del 2023. Nel frattempo, la prima è consigliatissima.
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