Evidentemente siamo vecchi. O se volete vintage. Il punto però è che veniamo da un’epoca dove prima dei film c’erano le sceneggiature. Quando si iniziavano le riprese più o meno si sapeva da dove si partiva, si sapeva dove si sarebbe arrivati, si sapeva quali sarebbero stati gli snodi principali della narrazione, la logica che le legava secondo una sequenza precisa, e soprattutto (SOPRATTUTTO) i personaggi avevano un perché. Non erano solo ed unicamente usati per trasmettere dei messaggi, ma erano personaggi a tutto tondo, con una storia, una motivazione, un percorso che li portava a crescere e cambiare nel corso della narrazione.
Siamo vecchi, ma quando si sapevano fare i film non erano incredibilmente telefonati e prevedibili.
Ecco, Encanto l’ultimo film della Disney, sembra una di quelle partite a tresette quando dopo aver distribuito le carte e aver fatto il primo giro un bravo giocatore guarda gli altri e dice: “Te hai in mano questo, questo e questo, e la partita finirà così e cosà”. Ossia vedi il numero iniziale (la canzoncina sulla famiglia Madrigal) e sai già cosa succederà. E la cosa triste è che alla fine del film ti rendi conto di aver avuto ragione. E la cosa ti deprime.
Ma andiamo per ordine. Il film l’abbiamo visto (per zittire subito chi dice “fate recensioni per partito preso”). Cose valide? Sicuramente la tecnica di animazione e i movimenti die personaggi. A parte alcuni momenti troppo frenetici (soprattutto nel personaggio di Tìo Bruno) la fluidità dei movimenti è incredibile. Dato che la musica usata come colonna sonora non è un soft rock o un musical pop, con movimenti lenti, ariosi, e tutto sommato facili da animare, ma ritmi latino americani giocati tutti su movimenti sinuosi di braccia, corpo, anche, spalle, torso, gambe, con minimi spostamenti dell’asse del corpo, che devono dare un’idea di fluidità e naturalezza di movimenti, il risultato è quasi perfetto. Nella sequenza di ballo di Luisa La Pressione Sale (Surface Pressure) o nel numero più corale Non si Nomina Bruno (We don’t talk about Bruno) il livello di animazione è altissimo. Altro elemento è la paletta grafica. L’uso dei colori è perfettamente bilanciato, e sia nella sequenza dell’albero magico, che in quella della flora scatenata raggiunge toni elevatissimi.
Quindi ok, tecnica di animazione, uso del colore… Aggiungiamo la musica, anche se in questo caso l’adattamento italiano delle canzoni originali spesso lascia a desiderare (soprattutto nella prima sequenza canora, davvero sotto la sufficienza). Ma basta questo per fare un film? Un film, anche un film di animazione è ben altro. È storia, personaggi, intreccio, copi di scena, conflitto e risoluzione dello stesso. Il punto è che Encanto in ognuno di questi elementi fallisce clamorosamente.
Vediamo la trama, così come la ricaviamo dalla visione del film: circa 40 anni prima dell’avvio della pellicola Abuela Madrigal e il marito, assieme con altri, si vedono costretti a scappare perché dei cavalieri arrivano nella loro città per metterla a ferro e fuoco. Abuela Madrigal e il marito hanno tre figli (due figlie e un figlio) e scappano lungo un fiume. A un certo punto i cavalieri innominati e ignoti (e di cui non si sa nulla di nulla) li raggiungono e uccidono Abuelo Madrigal. A questo punto accade il Miracolo. Succede qualcosa, Abuela è in grado di salvare se stessa, i figli, coloro che sono scappati con lei, costruendo grazie alla magia una città circondata da montagne altissime che la proteggono dal mondo esterno e una casa (La Casita), animata, dove vive la famiglia Madrigal.
Ogni membro della famiglia Madrigal arrivato a un’età precisa (però non si capisce se sia una specie di rito di pubertà o se accada da bambini) deve toccare il condotto della magia, che è rimasta nella Casita, grazie a una candela sempre accesa, e riceve un “miracolo”, o se vogliamo un superpotere. Ogni membro della famiglia usa questo miracolo per aiutare la città dei rifugiati. Abuela Madrigal è la matriarca che domina benevola sulla comunità, assegna i compiti e combina i matrimoni.
Questo fino all’arrivo di Mirabel Madrigal. Al momento del suo rito Mirabel non riceve nessun miracolo. Questo è il prologo della vicenda. Il film inizia quando Antonio Madrigal, cugino di Mirabel, e bambino, sta per ricevere il suo Miracolo. Qui parte la serie di eventi che porterà alla scomparsa della magia, alla distruzione della Casita, alla ricostruzione e al ritorno della magia.
Detta così sembra una storia già letta e vista, e in effetti di originale c’è poco. Il guaio è che la storia procede dal punto A al punto B secondo una sequenza lineare, senza deviazioni, senza svolte inaspettate. Mirabel, la ragazza adolescente priva di magia sarà OVVIAMENTE quella che salverà tutti, e OVVIAMENTE Abuela, la matriarca che ha protetto il villaggio lo ha fatto per paura del mondo esterno e la sua ossessione del controllo alla fine OVVIAMENTE è la vera causa della morte della magia. E OVVIAMENTE solo la riconciliazione tra il membro più anziano della famiglia e la “paria senza magia”, porterà alla rinascita della magia. Ed è sempre OVVIO che in realtà Mirabel ha ricevuto un Miracolo anni prima, ma è la capacità di ridare vita e vigore alla magia, dopo la crisi. Ed è OVVIO che sarà il membro più forte della famiglia (Luisa) la prima ad avvertire la debolezza incombente.
Tutto è prevedibile, tutto è concatenato in modo meccanico. Tutto è come dire… scialbo.
A questo aggiungiamo buchi spaventosi di sceneggiatura. Non si spiega perché succedano le cose. Accadono e basta.
Un esempio? Perché questi uomini arrivano, e mettono a ferro e fuoco una città? Chi sono? Perché ce l’hanno con Abuela e gli altri abitanti? Non viene detto. Sono solo un elemento narrativo usato per far succedere una cosa precisa, ma il perché quella cosa succeda non viene detto. O volendo potremmo dire “Succede perché gli sceneggiatori hanno deciso che doveva succedere. E basta”.
Un supervisore alla sceneggiatura avrebbe dovuto bocciarla per decine di motivi. Ne cito solo uno. Se Dolores, la sorella di Mirabel, ha come potere quello di sentire qualsiasi cosa venga detta in tutto il villaggio, e se sempre Dolores ascolta i ratti nei muri (“chi si preoccupa per la magia sei tu… e i ratti che parlano nei muri”) allora come è possibile che in tutti gli anni passati Dolores non abbia mai sentito Tìo Bruno nascosto nelle intercapedini della Casita?
Ci sarebbe altro da dire, ma voglio dedicarmi al doppiaggio italiano. Perché in un film dove, pur essendo di ambientazione esplicitamente sudamericana anzi Colombiana, tutti i personaggi parlano in italiano perfetto poi c’è Julieta Madrigal, madre di Mirabel che parla con un accento alla Tonino Carotone talmente marcato da risultare quasi parodistico? Perché questa scelta di doppiaggio? Perché ci doveva essere un personaggio che parlava come Speedy Gonzales per far ridere i bambini? Ma allora perché solo uno?
E ancora, perché mantener Tìo, ossia lo spagnolo per Zio? Perché i personaggi parlano in italiano perfetto e poi invece di dire “Zio Bruno” dicono “Tìo Bruno?” Per mantenere un sapore sudamericano? Mi pare una scelta - volendo – che dietro un rispetto proforma in realtà svillaneggia la lingua originale, riducendola a macchietta. E infine: Abuela in spagnolo significa Nonna. Ma se uno non sa lo spagnolo per tutto il film sembra quasi che sia il nome proprio della matriarca. Hai un improvviso barlume che Abuela non è il nome ma il ruolo nella famiglia, quando alla fine si parla di “Abuelo” che è morto. E allora, se stai attento, lo capisci. Ma anche qui…perché questa scelta? Perché in un film dove i personaggi parlano italiano non chiamano la nonna “Nonna”?
Riflessone finale
Al di là delle pecche di sceneggiatura, del non sviluppo dei personaggi, dell’adattamento del doppiaggio discutibile il punto dolente di Encanto è che mentre i grandi film Disney mettevano in discussione lo status Quo, il messaggio di Encanto è il ritorno alla situazione precedente, il ritorno e il rafforzamento dello status quo. Quando Mirabel riattiva la magia, e tutto torna come prima, la casa torna ad animarsi, e le montagne tornano ad ergersi altissime a proteggere la città, il messaggio è che il cambiamento è sbagliato, e che la situazione di quando è iniziato il film è bene che permanga. Ossia non c’è una crescita. Non c’è un cambiamento. O meglio, abbiamo cambiamenti, ma sono cosmetici. Luisa che si riposa su un’amaca ma rimane sempre forte, Isabela che non è più perfettina ma tutta colorata e un po’ scapestrata, ma tutto (anche queste cambiamenti) sempre all’interno di uno schema preesistente rafforzato.
Encanto è il film del conformismo, dove lo status quo in cui è giusto isolarsi dal mondo esterno perché hai la Nonna (Abuela) e la Famiglia che ti proteggono è una cosa buona, e la magia ti permette di rimanere a vivere in questo status quo circoscritto, senza uscire nel mondo esterno e cercare nuove strade.
Un tempo c’erano Cenerentola, la Sirenetta, Ratatouille, Wall-E. Oggi abbiamo Encanto. Mala Tempora Currunt.
PS. Siccome siamo gentili e bisogna notare le cose valide, in effetti ripensandoci Encanto ha un grande merito. A differenza di Eternals, o altri cinepattoni qui non siamo stati costretti a subire la canonica e caramellosa coppia gay tanto buonina e coccolosa, che ormai dilaga come elemento imprescindibile per un film “col messaggio”. Diciamo che questo, e il fatto che Diabolik e Ginko non mostrino una latente attrazione l’uno per l’altro, fa ben sperare per il futuro.
C’è salvezza all’orizzonte.
(Tanto per chiarire, sennò chissà che diranno le “anime belle” alla Murgia: Qui a Plus News non siamo contro l’amore. Siamo contro il Rainbow Washing, e i tontoloni che abboccano alle spregiudicate strategie di marketing.
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