Il populismo è solo un’espressione della democrazia partecipata
Chi sono i populisti?
A rigore etimologico, vale a dire all’origine della parola, il populista è un politico che mira a rappresentare il popolo e le masse che lo compongono, esaltandone valori, desideri, frustrazioni e sentimenti. In una democrazia il populista rappresenta questo comune sentire in una sede istituzionale.
Sarebbe dunque una parola dal significato neutro se non fosse stata caricata di una valenza negativa. Assimilata ad una devianza della democrazia, nonostante il demos, parola di origine greca, stia proprio ad indicare il ceto popolare in contrapposizione all’aristocrazia.
Eppure l’interrogativo rimbalza da tempo nelle democrazie occidentali arrovellando tante teste pensanti le quali, complici i mezzi di comunicazione di massa, convergono tutte nel giudicare il populismo e i populisti con orrore. Così l’aggettivo populista è diventato un’etichetta brutale, ma da applicare solo quando torna utile ed esclusivamente ad alcuni personaggi.
Per questo motivo diventano populisti i “cinque stelle” se stanno al governo con la Lega di Salvini, movimento orgogliosamente populista, ma non lo sono più se in Parlamento fanno maggioranza con il Partito democratico.
Un utile esempio è il discorso d’insediamento di Obama quando divenne presidente degli States nel 2012. Allora il termine non aveva ancora guadagnato un significato negativo e Obama, che godeva di buona stampa, pronunciò il suo discorso salutato da tanti commenti benevoli che lo definirono contro le élite, semplice, chiaro e rivolto al cuore degli americani.
In buona sostanza, Obama pronunciò un discorso populista che ad occhi chiusi, al netto dei diversi accenti e della retorica, è assai simile nei contenuti, a quello pronunciato quattro anni fa da Donald Trump, prima del suo ingresso alla Casa Bianca. Eppure solo Trump è stato accusato di cavalcare l’onda populista e meritevole per questo della riprovazione generale.
Un altro esempio sempre dagli Usa. Ricordate il movimento Occupy Wall Street che qualche tempo fa si guadagnò l’interesse della stampa internazionale e gli applausi dei guru del progressismo di tutto il mondo? Si trattava di un gruppo spontaneo di giovani che contestava la distribuzione della ricchezza. Erano di sinistra, “simpatici” ai media, e ciò bastò ad dribblare l’accusa di essere un movimento populista. Eppure lo erano, eccome se lo erano.
La critica alle élite e al sistema politico esaltando “il popolo” è dunque possibile e può diventare addirittura sacrosanta, ma solo se proviene da sinistra. L’infamante accusa di populismo giunge come una scomunica solo se la critica arriva dalla destra politica.
Tornando in Italia, per l’informazione mainstream, sono sicuramente populisti e dunque da biasimare, i partiti della destra, soprattutto Lega e Fratelli d’Italia, mentre non lo sono, anzi non lo erano visto che sono scomparse, le cosiddette “sardine”.
L’anti-capitalismo, il pacifismo, l’anti-globalizzazione e il socialismo sono temi perlopiù cari alla sinistra, ma nessuno dirà mai che anche questi concetti hanno una forte componente di populismo e di demagogia.
In buona sostanza, il termine populista, grazie ai mass media che collaborano a distribuire tale etichetta, è diventato un aggettivo dalla connotazione negativa che serve perlopiù a demonizzare l’avversario.
Un passo utile sarebbe quello dei cominciare ciascuno a temere non il populismo fuori di sé ma il populismo dentro di sé. Perché siamo tutti un poco populisti e quelli che lo vedono esclusivamente negli altri lo sono per primi.
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