Vittoria rotonda. Senza discussioni. Vinta da un tecnico vero e da un branco di lupi famelici
La storia di Roma e non la storia di Lazio, fu scritta su lacrime e sangue. Fiumi di lacrime e sangue. Dei vinti. Vae Victis. Il calcio è meno cruento ma il principio vale comunque. Per chi perde c’è solo vergogna. Pensiamo agli ultimi, di vinti. Sconfitti ancora prima di scendere in campo. Non dai legionari romani che come un branco di lupi si sono avventati famelici e implacabili, ma da loro stessi. Dalla loro mediocrità. Hanno un giocatore che chiamano Il Mago. Lo chiamano così perché pare che dalle parti di Formello sia un fenomeno. In Spagna però non lo sanno. Ha giocato in nazionale UNA sola volta, sette anni fa. D’accordo, perdonateli, diranno gli agiografici, perché non sanno che si perdono. In effetti non lo sappiamo manco noi. Tra i suoi giochi di prestigio deve avere anche l’invisibilità perché in campo non s’è mai visto. 3 a 0. Il primo a un minuto meno quattro secondi. Pellegrini semina panico nella “difesa” dei pulcini azzurri. Ne salta uno, due, tre. La palla esce, deviata.
Pellegrini ha fame. Batte il suo corner che è un tiro in porta. Traversa. Abraham aggiunge una terza palla alle due che ha già e che gli fumano. E segna. Segna ancora. Servito da Karsdorp, un altro che annusa sangue, si avventa sul pallone e lo fionda in porta. Gli uccellini di Sarri sono spettatori quanto quelli sugli spalti. Ma non finisce qui. Il Capitano della Roma brama la sua libra. Un capobranco deve metterci la zampata. La posizione è la sua. La zolla porta il suo nome. Da lì ogni tiro è una sentenza già emessa. Non si sa ancora se prevalga la parte estetica o la freddezza. Un gesto pregevole e spietato. Il colpo di grazia. Si chiama così perché è quello definitivo che si concede per non accanirsi su un avversario sconfitto, deve essere giocoforza da enciclopedia. La perla ammutolisce gli ospiti ed esalta i padroni di casa. Lo stadio esplode. Il Capitano guarda la tribuna. Dalla tribuna è a sua volta guardato dal suo e nostro Capitano. Da colui che è ancora l’Uomo Nero di ogni laziale. Lo spauracchio. Il Babau. L’uomo degli incubi. La Nemesi. Il Numero Dieci che ha purgato undici volte la Lazietta, lo guarda e sorride. In fondo, lo aveva eletto a suo erede. Detto del mago, tale Luis Alberto, anche l’altro “astro”, Milinkovic-Savic, non si è mai accesso. Annullato da un ottimo Cristante. Bello, invece l’affondo di Immobile. In un’azione molto simile, Abraham grazia la Lazio. Idem, Mourinho che rimprovera veementemente i tifosi per gli olè. La crescita passa anche attraverso lo stile.
Insomma, se i campioni presunti e non pervenuti della Lazio sono andati in bambola, un campione Vero non ha fatto mancare il suo commento.
“Il derby? Ma di che parliamo, la Lazio non ha giocato ed è andata in bambola dal primo gol. La Roma ha meritato in tutto e per tutto”. Parole di Bruno Giordano
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