Un film coraggioso su un uomo coraggioso. Il film è Comandante ed è coraggioso perché ripropone un genere cinematografico dal quale eravamo assenti da troppo tempo. L’uomo coraggioso è Salvatore Todaro, singolare figura di ufficiale sommergibilista che ha combattuto nella Seconda guerra mondiale.
Un carismatico figlio della sua epoca, che pratica lo yoga e ritiene di avere capacità divinatorie. Un po’ dannunziano, un po’ futurista.
Reduce da un incidente a bordo di idrovolante che lo condanna ad indossare un busto, potrebbe arrivare alla pensione dietro una scrivania, ma ritiene di essere ancora utile e chiede di poter comandare uno dei sommergibili destinati a Betasom, la base di Bordeaux da cui “taciti ed invisibili partono i sommergibili” impegnati nella guerra nell’Atlantico.
Se i lupi di Doenitz, il capo dell’arma subacquea tedesca, attaccano in branco, gli italiani no. Praticano la guerra corsara, singolarmente, in superficie, attaccando con il cannone i mercantili alleati che navigano isolati.
Todaro lo fa a bordo del Cappellini un sommergibile oceanico di cui parla con accenti quasi marinettiani. La vicenda si snoda attorno a due episodi reali. Il passaggio dello stretto di Gibilterra che durante la guerra gli italiani forzarono 32 volte per uscire dal Mediterraneo e 14 per rientrarvi, senza perdere una sola unità, laddove quando furono i tedeschi a dover passare per entrare, ne persero due.
La seconda impresa è l’affondamento del mercantile belga Kabalo che trasportava un carico di armi destinate agli inglesi, per il quale Todaro si assume una responsabilità ulteriore: portare in salvo i 26 membri dell’equipaggio sopravvissuti, tra i quali il comandante della nave affondata.
Un atto per il quale il comandante del Cappellini venne additato ad esempio dagli amici e avversari. Anche se si conosce un precedente che ebbe per protagonista il sommergibile Malaspina del comandante Leoni, il quale fece altrettanto dopo aver affondato il mercantile inglese British Fame, la prima nave alleata affondata dagli italiani in Atlantico.
La storia del sommergibile Cappellini ha precedente cinematografico in un film del 1954 di Duilio Coletti, dal titolo La grande speranza, che però incautamente mescolava alla vicenda bellica elementi romantici, con la presenza di donna nell’equipaggio sopravvissuta all’affondamento della nave.
La vita e le gesta del comandante Todaro bigger than life, avrebbero detto gli americani, sono di per sé un soggetto cinematografico, che però deve manipolare ingredienti difficili da amalgamare anche a distanza di più di ottant’anni da quella guerra. A posteriori liquidata come guerra fascista e non guerra degli italiani.
Gli sceneggiatori Sandro Veronesi ed Edoardo De Angelis, che ne è anche il regista, invece, la inquadrano proprio al contrario della vulgata e senza cedere all’agiografia, cercano la cifra dell’antiretorica nei dialoghi e si affidano al monologo interiore di alcuni dei personaggi nei passaggi più delicati.
La marcia notturna dell’equipaggio verso l’imbarco a La Spezia che si stempera nel coro di una canzonetta dell’epoca cantata in modo marziale,
è un buon esempio di questo approccio che a volte - quando illustra la difficile vita di bordo - ha anche dei momenti ironici.
Si muove a suo agio - nonostante il bustino - Pierfrancesco Favino che incarna con pose ieratiche il comandante Salvatore - di nome e di fatto - Todaro. Brilla per asciuttezza Massimiliano Todaro nei panni di Marcon, il suo secondo ufficiale.
La fotografia grigia e quasi documentaristica è di Ferran Paredes Rubio.
Nel presentare il film gli autori e gli interpreti si sono spesi a presentarlo come un paradigma della contemporaneità, per cui l’Italia davanti alle correnti migratorie del sud del mondo ha perso la sua umanità giungendo a non rispettare più la legge del mare. Una sorta di excusatio non petita, per smorzare le polemiche che inevitabilmente sarebbero giunte, visto il contesto della storia raccontata dal film.
Può darsi che la lettura proposta sia vera, ma a noi piace pensare che, senza farne un santino, gli autori abbiano voluto ricordare la figura di un italiano - degli italiani - in un momento particolare della nostra storia.
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