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Pier Luigi Manieri

Australia-Djokovic: gioco, partita, incontro!

Aggiornamento: 30 gen 2022

Da questione burocratica a commedia dell’assurdo a paradigma dello spirito del tempo

Sarebbe il caso di scomodare lo scespiriano “tanto rumore per nulla” ma la vicenda Djokovic ha toccato un tale livello di isteria da assurgere a status di paradigma della contemporaneità. Ci sono volute due settimane per dirimere un caso che qualsiasi burocrate avrebbe potuto risolvere senza tanto clamore ma del resto se inviti il numero uno del mondo e poi pretendi di gestirlo come una qualsiasi matricola, la granata ti scoppia in mano. Ricostruire ogni singolo passaggio di questa commedia dell’assurdo è un esercizio tanto arduo quanto pleonastico, ogni singola fase è stata passata ai raggi x, setacciata con la lente d’ingrandimento del voyeurismo virale che ormai scandisce ogni tipologia d’esperienza umana.

La farfalla che batte le ali e genera tsunami trova conferma ogni santo giorno rimbalzando sui profili social, sui mezzi d’informazione che a loro volta si uniformano all’estetica del gossip perché tira più in pelo di gnocca di un carro di buoi in discesa. E così un fatto sportivo diventa una battaglia di classe. Una questione di sicurezza sanitaria di proporzioni infinitesimali scatena il dibattito in cui tutti sono chiamati a partecipare in veste di improvvisati virologi, giuristi, politologi, antropologi del comportamento in un gioco al rilancio in cui il fatto si moltiplica. Ancora una manciata di giorni e Novax Giocovic (non è divertente questo indovinato gioco di parole?) diventa a seconda delle fazioni, il capo delle Tigri serbe, anche se all’epoca aveva sei anni, o il profeta del libero pensiero. Permane la sensazione di una sproporzione difficilmente comprensibile, d’accordo, le leggi sono uguali per tutti e la sicurezza sanitaria è un principio assoluto ma anche gli assolutismi hanno le loro eccezioni.

Porlo in quarantena per una quindicina di giorni e sottoporlo al tampone quotidianamente non sarebbe stato sufficiente? Davvero si può chiedere a un cittadino straniero di andare contro i propri principi per un interesse generale? Se la risposta è sì, come la mettiamo con le migliaia di persone che ogni giorno approdano in clandestinità sulle coste dei Paesi ricchi? Si dirà, ma quelli sono casi umanitari, mica si tratta di tennis, giusto, quindi le eccezioni esistono e si applicano. Ma se migliaia di immigrati non vanificano la vaccinazione para-coatta in corso in un Paese, come può farlo un singolo uomo? Con ciò nessun colpo di spugna sul l’assortimento di comode amnesie, bugie, bravate da guitto del serbo, quelle restano ma resta anche il fatto che alla fine della fiera abbia vinto lui. Chiunque porterà a casa il torneo sarà quello che vinse senza il Grande Dominatore che dall’alto dei suoi nove Australia Open è lo spauracchio da eliminare, l'unità di misura per stabilire il valore dell'impresa. Nessuno sarà mai il vero campione se non se la gioca col Campione, compreso Nadal per il quale questi Open si avviano a diventare una specie di passeggiata di salute.


A questo aggiungiamo il probabile calo di spettatori, noi seguiremo senza dubbio i nostri azzurri ma per il resto, interesse prossimo all’arresto cardiaco. Una chiosa sul padre è doverosa, in un impeto da cultura social ha paragonato il figlio a Gesù, il che in un altro tempo sarebbe stato da trattamento sanitario obbligatorio ma oggi, coi genitori che esaltano i figli undicenni perché si tingono i capelli di viola o scomodano Maradona perché fanno gol nel torneo di calcetto della scuola, è davvero tanto perculabile? Comunque, Novax Giocovic ha vinto l’Open senza giocarlo, non è un miracolo ma ci manca poco.


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