Mezzo secolo fa, precisamente l’11 settembre del 1974, dopo un prologo il 30 marzo, debuttava sul network NBC Little House on the prairie, serial televisivo ispirato alla serie di romanzi di Laura Ingalls Wilder, incentrata sulle avventure di una famiglia di pionieri dell’Ovest americano negli ultimi decenni dell’Ottocento.
La serie sarebbe arrivata poi in Italia nella primavera del 1977, con il titolo de La piccola casa nella prateria, con alcuni episodi trasmessi dalla RAI nella fascia preserale, per poi passare con il titolo de La casa nella prateria sulle reti private a partire dall’autunno del 1979 fino ad oggi, dove è un titolo di punta del canale Twenty seven di Mediaset.
A produrre, dirigere ed interpretare c’era il carismatico Michael Landon che, dopo un debutto come licantropo in un horror movie adolescenziale negli anni Cinquanta, era diventato famoso con un altro serial di ambientazione western, Bonanza. Ma qui i toni furono diversi fin dall’inizio, meno avventurosi, con uno sguardo attento ai personaggi femminili.
Del resto, era tutto ispirato ai romanzi di Laura Ingalls Wilder, giornalista, insegnante, attivista sociale, che aveva vissuto la sua lunga esistenza tra il 1867 e il 1957, con un’infanzia e un’adolescenza tra i pionieri, che aveva raccontato a partire dagli anni Trenta del Novecento. Un personaggio interessante, madre a sua volta di Rose Wilder Lane, femminista, scrittrice, giornalista e una delle fondatrici del Partito Libertario Americano.
L’adattamento televisivo dei romanzi di Laura partì dai testi originali, ma man mano che il tempo passava se ne distaccò, introducendo cambiamenti alle vicende, a cominciare dal fatto che il fulcro dell’azione resta il borgo di Valnut Grove, nel Minnesota, con qualche scappata altrove, mentre l’autrice girò in realtà molto di più durante i suoi primi anni.
Il target delle avventure televisive di Laura e della sua famiglia era, di base, un pubblico legato alle zone più interne degli Stati Uniti, con una forte componente religiosa tra i suoi valori e infatti questo è uno dei temi portanti. Ma sarebbe sbagliato liquidare l’epopea degli Ingalls solo così. Gli Ingalls credono in Dio e la religione è importante per loro, come era del resto per i pionieri dell’Ottocento, ma questo non soffoca tutto il resto.
Con La casa nella prateria, Michael Landon voleva presentare una storia di solidi valori familiari, in un momento in cui, negli Stati Uniti, si assisteva ad uno sgretolamento dei medesimi e ad una secolarizzazione selvaggia con conseguenze non sempre facili e gradevoli in nome della libertà. Ma Michael Landon non poteva dimenticarsi l’epoca in cui viveva e tra le righe nelle vicende della famiglia Ingalls trovarono spazio argomenti come l’alcolismo, le violenze familiari, il razzismo, gli abusi sessuali, le gravidanze indesiderate, il bullismo, l’integrazione delle persone con handicap, la disoccupazione, la droga, spesso con qualche anacronismo di troppo.
Le libertà che la serie si prese rispetto ai romanzi non furono poche: Mary, la figlia maggiore, diventò cieca anche nella realtà, senza però mai sposarsi e passando la vita accudita dalle sorelle, nella famiglia Ingalls non ci fu nessun figlio adottivo di nome Albert, né Laura e Almanzo accolsero mai in casa loro la nipote Jenny, interpretata dalla compianta Shannen Doherty al suo debutto. Inoltre, la famiglia Oleson, nemici-amici degli Ingalls, appare nei romanzi solo in un ruolo marginale, mentre nel serial diventano man mano coprotagonisti, senza contare poi lo scioccante finale con la distruzione di Valnut Grove, scelto da Landon come ripicca perché nessuno usasse più le scenografie della sua storia, ma senza nessun rimando con fatti reali.
Come molte altre serie televisive, anche La casa nella prateria ha comunque il suo momento migliore nelle prime stagioni, con Laura e sorelle bambine e ragazzine, mentre si perde poi in tante sottotrame aggiunte quando loro crescono: ma è proprio il personaggio della protagonista ad essere ancora oggi il più emblematico e riuscito.
Interpretata dalla rossa Melissa Gilbert, che cresce con la sua controparte sullo schermo, da bambina a giovane donna, Laura è un misto tra Pippi Calzelunghe e Jo March, una Giamburrasca in gonnella politicamente scorretta, che fa marachelle, non è sempre un’eroina limpida, anzi, ma conquista fin dalla prima puntata un pubblico di giovanissime coetanee. Ragazzine che poi sono cresciute con le sue avventure e che a distanza di anni hanno continuato o ripreso a guardarle, magari trasmettendo questa loro passione alle figlie.
La casa nella prateria, serie basata su un ciclo di romanzi scritti da una donna, prodotta e voluta da un uomo che dopo la sua morte non è stato ricordato sempre dalle colleghe attrici in termini lusinghieri, a cominciare da Karen Grassle, l’interprete dell’amata mamma e moglie Caroline, è e resta una saga femminista, dove sono le donne ad essere protagoniste. Un femminismo non in competizione con l’altro sesso, ma ribelle e creativo, che comincia appunto dall’infanzia, come ricorda Laura. Forse è per questo che è ancora piacevole seguirla, magari in una delle sue tante repliche, forse è per questo che Laura, dopo mezzo secolo, ci piace ancora così tanto.
Comments